“L’urbs sono le mura, la civitas non sono le pietre ma la gente che ci abita”. Questa frase è di Isidoro di Siviglia, vescovo della città spagnola da cui prese il nome, teologo venerato come Dottore della Chiesa. Bella citazione, soprattutto se consideriamo che Isidoro nacque nel 560 e morì nel 636. In tempi di ius soli e di ius culturae poi, la distinzione tra senso fisico (le mura, le pietre, i palazzi) e quello ideale (le persone reali che animano le città) diventa se possibile ancora più pregnante.
Che gente abita nelle nostre città? Per nostra fortuna (o sfortuna a seconda dei punti di vista) vivendo nella realtà fisica è più difficile che si verifichi l’effetto “camera dell’eco” tipico del mondo digitale. Che fa sì che si frequenti solo con chi la pensa più o meno come noi. A meno di non essere un principe saudita spaparanzato nei resort a sette stelle, la realtà della civitas inevitabilmente ci acchiappa anche se si abita in via della Spiga o a Trinità dei Monti. E’ il rosario sfinente, il mendicante da semaforo, panetteria o supermercato. La nuova disperazione alla quale fanno da contrappunto i molti che sono venuti nelle nostre città a studiare, oppure hanno lavoro degno di questo nome.
Chi ha la ventura di vivere a Milano non deve attendere la calata domenicale dei barbari in gita; basta prendere in un giorno qualsiasi in un orario qualsiasi la 90/91, la linea filotranviaria che attraversa la città per 20 chilometri. Cinesi, arabi, romeni, cingalesi, pakistani, africani. Più qualche italiano che nella stagione fredda fa un giro per scaldarsi, visto che non ha una casa. Un fritto misto di odori, lingue, fogge, costumi; un esercizio di scoperta che prosegue in metrò sulle linee che collegano il centro alle periferie.
Se le pietre non fanno la civitas, è pur vero che è sempre l’urbs a segnare il confine del dentro dal fuori, dove l’urbano s’imbestialisce nel sub-urbano delle orride periferie. E’ così a Milano, a Roma, a Parigi, a Londra, come pure nelle città di provincia e in persino nei piccoli o piccolissimi centri abitati
Ogni uomo è una penisola, sostiene Amos Oz nel suo ultimo libro. Connessi alla terraferma che è la famiglia, la lingua madre, la società e la cultura; e rivolti verso il mare dell’eternità, del mistero e della solitudine. Lo scopro ogni volta che mi avventuro nella desolata pianura padana tra cemento e capannoni, non più civitas, senza speranza di diventare urbs.