Non ho nessun merito, soltanto un po’ di fortuna. La copertina era talmente bella che sarebbe stato impossibile non prenderlo in mano. Certo, il libro stava lì sdraiato sul bancone ad altezza d’occhio. Pochi i meriti del librario, di un Adelphi si trattava perbacco, e con gli Adelphi è come vendere la nutella.
Cosa sarebbe accaduto se l’editore fosse stato piccino e magari pure sfigato? Gli editori piccini di norma non son bravi a fare le copertine.
Il libro s’intitola “Austerlitz”. Capolavoro assoluto di W.G. Sebald, chiude in modo magistrale la letteratura del secolo scorso. È un libro che mi piace immaginare speculare al monumento proustiano: come la “Recherche” anche il tema di “Austerlitz” riguarda tempo, memoria e passato.
Il merito della scoperta de “Il fantasma della memoria” (Treccani editore) va invece a Faccialibro e al sistema di relazioni a incastro che è possibile costruire; possibile, non certo e neppure automatico. Nel senso che le relazioni virtuali sono come quelle reali: è responsabilità di chi ricerca scegliere le rose piuttosto che il letame.
Ho così incontrato Filippo Tuena. Grazie a lui sono venuto a conoscenza de “Il fantasma della memoria”, volume che i librai difficilmente porranno in bella vista sul bancone; nel nostro paese vige infatti la legge del contrappasso: si pubblicano moltissimi titoli per un pubblico sempre più esiguo, limando i tempi di permanenza in libreria peggio di una sessione di Formula Uno.
“Il fantasma della memoria” – raccolta di conversazioni con W.G. Sebald prefatte da Filippo Tuena – introduce il lettore in modo affettuoso e seducente nel mondo di un autore che compie il miracolo di creare letteratura “alta” senza necessariamente cadere negli ismi che rendono impossibile la lettura ai non specialisti. Cioè a noi, il 99,9% dei lettori. La lettura (la letteratura) intesa come piacere nutriente, non come faticoso lavoro di decifrazione. Di nuovo, alzi la mano chi non vede l’ora di tornare a casa per immergersi nei “Finnegans Wake” (coraggio, c’è pure una nuova traduzione); alzi la mano chi sistematicamente preferisce John Cage a J.S. Bach, Karlheinz Stockhausen a W.A. Mozart, Art Basel alla Galleria Nazionale dell’Umbria.
Come la matematica, la fisica e l’astronomia la cui conoscenza fu per secoli considerato ovvio patrimonio delle persone colte, anche l’arte abita oggi territori in cui si praticano lingue inconosciute rese ostili dall’incombente presenza del Mercato, il moloch che tutto trasforma in merce.
Sono i temi che Dwight Macdonald ha esplorato nel suo “Masscult and Midcult” definito da Umberto Eco “bellissimo e aristocraticissimo saggio”. E di nuovo fa la sua comparsa la vera minaccia della nostra epoca, molto più pericolosa del riscaldamento (o del raffreddamento) globale. L’epoca in cui la democrazia morì di analfabetismo di ritorno.