Perchè rileggere, se non si è lettori di professione. I lettori di professione sono gli storici della letteratura, i filologi, i linguisti, chi a qualsiasi livello si occupa di critica. Leggere e rileggere il corpus delle opere che riguarda il loro ambito di ricerca è parte essenziale del mestiere. Ma per tutti gli altri, per il comune e normale lettore, qual è il senso della rilettura considerando la mole sterminata della produzione e il poco tempo disponibile?
Innanzitutto il piacere. Ci sono pagine che assicurano un inarrivabile godimento anche alla decima o quindicesima rilettura: lo scontro di Dartagnan con le guardie del Cardinale, Odisseo alla prova con l’arco, l’ingresso di Swann annunciato dallo scampanellio nel giardino di tante Léonie… e potrei continuare a lungo.
La seconda ragione è il cambiamento. Rileggere un’opera, un capolavoro assoluto ma anche una banale storiella di quando eravamo bambini, dà la misura di quanto siamo cambiati. Lo scarto tra ciò che ora percepiamo, ciò che la pagina evoca in modo impensabile e inaudito rispetto al passato, è il marcatore del tempo. Di come è trascorso e di quanto abbia lavorato su noi. Di come sia mutata, acuita o attutita, la nostra sensibilità.
Non tutte le passeggiate nei boschi narrativi riservano sorprese positive. Romanzi che un tempo ci deliziavano e che apriamo pregustando il piacere d’un tempo, ci appaiono insopportabilmente indigesti e stantii; pagine che un tempo ci svelavano mondi impensati e impensabili, si rivelano per ciò che sono (e sono sempre state): modesti esercizi di scrittura che ci entusiasmavano perchè eravamo lettori piccoli, cucciolandia tra le pagine, privi della saggezza che si accumula con la pratica di viandanti.
E’ una sensazione che provo pressocchè tutte le mattine quando sfoglio le pagine dei quotidiani. Giunto il turno del Post.it, per prima cosa scorro la pagina per raggiungere la striscia dei Peantus… ma che tristezza scoprire che la tenerezza è svanita. Al suo posto, in luogo dell’antica poesia, l’irritante ignavia di Charlie Brown, incapace persino di assumere una piccola responsabilità nei confronti della confusa (e volitivamente deliziosa) sorellina Sally; per non parlare degli altri personaggi maschili, perduti nelle loro insanabili nevrosi assortite. Un mondo di autistici e dementi dove le sole a salvarsi sono le fanciulle e ovviamente Snoopy, sistematicamente il più umano della brigata.
Il mondo narrativo del signor Schultz così palesemente autobiografico non è cambiato, e come avrebbe potuto del resto? Quelli mutati siamo noi, purtroppo e per fortuna.