Non ho mai amato il ciclo di Malaussène e di conseguenza non ho letto nulla di Pennac, saggio “Come un romanzo” a parte. Nulla di personale, per carità. Ho delle forti resistenze, o meglio: delle immediate reazioni psicofisiche, di fronte a personaggi che si assumono (per ruolo, mestiere o incapacità) la colpa.
Detesto la colpa, i colpevoli, i colpevolarizzatori. Vorrei tanto uscire dall’età della colpa per entrare in quella della responsabilità, per dire. Al punto che, alla terza vignetta di seguito in cui quell’insopportabile cretino di Charlie Brown si fa gabbare consapevolmente, rinuncia e non lotta, – insomma, non ci prova nemmeno – butterei a mare persino (persino!) i Peantus.
(A proposito di imbecillità senza speranza, leggo che “la rivista americana Watch and Listen… rivista di critica letteraria che pubblica ogni dieci anni la sua classifica dei 50 migliori libri di tutti i tempi, nella classifica 2013 pone la saga Malaussène di Pennac al primo posto con il 45% dei voti, davanti ai I tre moschettieri di Alexandre Dumas con il 31% e ad Harry Potter con il 12%.” A conferma di due cose:
- i criteri delle classifiche (e di conseguenza le classifiche stesse) sono quasi sempre oggetti mentali frutto di menti malate, gravi
- gli americani grazie alla loro mania di classificare che li porta a misurare anche l’imponderabile per definizione (quant’è bello il bello? quant’è brutto il brutto?) confermano che la loro età mentale media oscilla tra gli otto e i dieci anni. A essere generosi.
Ma l’altro giorno è successo che l’ex-corta che mi somiglia dopo aver passato un week-end ipnotico attaccata al volume della copertina arancione, dice semplicemente pa’, questo libro devi leggerlo. E per rafforzare l’imperativo assoluto me lo pone in bilico sul poggiatesta del letto, luogo sacro per definizione.
Trattasi di “Storia di un corpo” (Feltrinelli). Romanzo che parla, per l’appunto, del corpo di un uomo dai suoi sette anni sino ai (quasi) novanta. Di cosa è fatto un corpo? Carne, ossa muscoli, pelle. Ma anche, e di questo si parla meno spesso anzi quasi mai, e se lo si fa è schifezza da manuale di medicina o appunto siglato sulle porte dei cessi, di merda, sangue, piscio, sperma, sudore, lacrime, mestruo, muco nasale, formaggetta tra le dita dei piedi, cerumi assortiti dei canali uditivi, vomito… Insomma, tutto o quasi quello che riguarda il corpo di un essere umano.
Umano, umanissimo, è lo sguardo di Pennac, delicato e pudico, nel raccontare una storia che va ben al di là del puramente corporale dove il corpo è solo un pretesto. Una storia che ho letto di notte, facendo fatica a smettere di leggere.
Magistrali i capitoli sull’infanzia e sulla (sofferta) adolescenza. Diventare uomini è sempre stato un mestiere doloroso. A volte persino troppo. Un racconto del maschile (fragilità, debolezze, paure; ma anche ribellioni, dignità e coraggio) esemplare.