Alla domanda “la storia si ripete?” la sola risposta che so dare è quella suggerita dal buon vecchio Marx, il filosofo tedesco non il comico americano. Sì, a volte la storia si ripete. La prima sotto forma di tragedia, la seconda di farsa. E’ quello che sta succedendo in Europa in questi giorni con la storia dei muri e delle cortine di ferro un tempo eretti per impedire l’uscita oggi per vietare l’entrata.
Per capire qualcosa in più riguardo all’Europa (alla parola “Europa” bisognerà una volta per tutte decidersi a dare un significato univoco) credo sia utile leggere un libro singolare. Mi scuso, non dovrei parlare per la seconda volta (o la terza?) dello stesso libro. Per di più fuori commercio. Ma è un’opera indispensabile per comprendere gli (apparentemente) incomprensibili anni che ci tocca in sorte di vivere e pure scritta in modo superbo. Si tratta de “La mia Europa” di quel figaccione di Czesław Miłosz, un uomo particolarmente bello e virile, la cui produzione saggistica supera a mio parere la pur notevole opera poetica. Ne “La mia Europa” Miłosz racconta la propria formazione di giovane intellettuale lituano a cavallo tra gli anni ’20 e ’30. Gli anni degli ismi più spaventosi: stalinismo, nazismo, nazionalismo, antisemitismo.
Miłosz descrive molto bene l’ossessivo clima culturale lituano-polacco reso asfittico dalla morsa clerico-fascista dei governi dell’epoca; la brutalità cupa, insensata e rozzamente automatica dei russi sovietizzati, l’istintiva – verrebbe quasi da dire genetica – ferocia degli ucraini e dei bielorussi; Miłosz è un testimone di valore unico non solo per la lucidità del suo sguardo. E’ uno dei pochi osservatori immune da tabe ideologiche, dalle idee preconcette che portano ad analisi prima e giudizi poi guastati dagli apriori e dalle finalità apologetiche. Miłosz è un uomo dotato di profonda moralità: il suo giudizio sul comunismo sovietico – netto e senza appello – non è mai viziato dall’insopportabile tono ipocrita che certa propaganda occidentale assumerà negli anni ’50; la sua critica della società polacca, affetta cronicamente del più stupido nazionalismo romantico che infantilizza le menti e rende felici i martiri che godono del loro martirio, proviene dall’interno, da uno cioè che ne fa intimamente parte, e nonostante ciò possiede (nel senso che si è saputo costruire) gli strumenti critici per leggere la realtà. Poi verrà il nazismo e grazie ad esso potrà finalmente esplodere senza limiti né freni la gioia feroce con la quale i popoli dell’Est accolsero l’invito a dare la caccia, nazione per nazione, paese per paese, casa per casa, agli ebrei. Ai loro ebrei. Un’estasi di fuoco, di sangue, di rapina: finalmente ci si poteva purificare nel nome di Cristo (sic!) della vera religione, nel nome della nazione e della lingua nazionale. Lituania, Estonia, Lettonia, Bielorussia, Ucraina, Romania e su tutti la pur cattolicissima Polonia. Solo la Bulgaria, misteri della storia, disse no. E i “suoi ebrei” furono strappati alle SS. A conferma che volendo si poteva. Che volendo si sarebbe potuto salvare migliaia di vite umane e con esse la propria appartenenza al genere umano.
Con la disfatta del ’44-’45, altro sangue. Pare che alla caduta di Budapest per opera dell’Armata Rossa nel corso di una battaglia durata giorni, per nessuno dei contendenti la vita umana avesse più valore. Le rive del Danubio rosse del sangue degli ebrei ungheresi massacrati insieme a chiunque fosse sospettato di non appartenere al regime filo-nazista: poiché dobbiamo morire, questa la logica di chi ama la morte, porteremo all’inferno insieme a noi chiunque ancora viva.
Venne il tempo plumbeo della dittatura sovietica. Quanti anni? Quaranta, cinquanta, settanta anni? Regimi che in alcuni paesi sopravvivano ancora. Facciamo un po’ di conti a spanne: 2015 meno 1930 uguale 85. Ottantacinque anni, una lunga vita. Una vita senza democrazia. Senza libertà. Senza apprendimento dei (difficili) concetti di tolleranza, rispetto, tutela della/delle diversità. 85 anni filati di tirannide, violenza, arbitrio. 85 anni trascorsi a dissimulare, mentire, sopire, fingere, subire. Che ha che fare tutto ciò con l’idea di Europa il paese della libertà, della solidarietà (almeno a parole) e dell’eguaglianza (almeno davanti alla Legge)? Come si può crescere come cittadini e come persone nei regni della paura e della finzione?
Purtroppo per ragioni di realpolitik a questi paesi (a questi popoli, a questi disgraziati individui) è stata offerta l’opportunità di entrare in Europa. (Bello il verbo entrare. Entrare in Europa come si entra in piscina, o al cinema, o alla Coop. Buongiorno, come va? Vuole entrare in Europa anche lei? Ma certo, prego. Attento che il gradino è un po’ alto, ecco così, da bravo).
Ma in Europa non si entra: si è (o non si è) Europa. Europa è uno stato mentale prima che geografico. Europa è (o dovrebbe essere) diritti inviolabili dell’individuo, democrazia, umanità, civiltà della vita, tolleranza, rispetto. Europa, ovvero il compimento della società aperta postulata da Popper, dove il diritto di espressione è sacro e inviolabile. Oltre che caffè, piazze e strade per passeggiare, beninteso.
E’ caduto il Muro di Berlino e li abbiamo fatti entrare e (giustamente) aiutati. Ora i paesi dell’Est rivendicano la purezza religiosa. La purezza etnica. La purezza linguistica. La purezza della carne e del suolo. Storia già sentita e già patita, ma evidentemente non basta: l’uomo non ha memoria. La cosa che più li spaventa è la stessa che terrorizza gli integralismi islamici: la libera società multiculturale e multietnica. Come potrebbe essere altrimenti? Le loro classi dirigenti sono il frutto avvelenato del passato staliniano. Del passato che non passa.
Non si forma una classe dirigente libera e liberale in cinque minuti. Non cresci come persona e come cittadino se respiri l’aria viziata di Sofia, Budapest, Bratislava o delle pestilenziali campagne polacche. Se ingerisci sin da piccolo il cibo avvelenato del nazionalismo, antisemitismo, xenofobia. Dov’è la società aperta, la tolleranza, la libertà d’espressione? Ha ragione la filosofa ungherese Agnes Heller, lucida pensatrice di anni 86: quando la libertà è regalata, quando ti viene dagli altri e non te la sei conquistata, non ci sarà consapevolezza e neppure crescita umana.
Prendiamo la palla al balzo, quindi. E definiamo in fretta cos’è Europa e cosa no, altro che millimetri delle vongolette, centimetri di carta igienica per rotolo, e tutte le altre sciocchezze stabilite dagli euroburocrati di Bruxelles. Sarebbe ora di fare l’appello come nelle classi dei ripetenti, e comprendere una volta per tutte chi ci sta sul serio e sino in fondo in Europa e chi no. Chi vuole davvero costruire l’Europa federale, e chi fa perdere tempo e sogni a tutti gli altri; discorso che per inciso vale anche per il pur civilissimo e riottoso Regno Unito. (Unito non si sa ancora per quanto, ma questa è un’altra storia).
I muri sono girevoli. L’umanità può imparare qualcosa dalla sua storia? Con tempi biblici, forse.