Sono passati sei mesi dal 7 ottobre. In questo lasso di tempo è avvenuto un perfetto scambio di ruoli: Israele ha indossato la veste del carnefice, gli assassini quello delle vittime. Nel frattempo, una parte (maggioritaria, consistente oppure marginale?) del mondo islamico continua a gioire all’idea di ammazzare l’ebreo.
Sorvoliamo sulle enormi responsabilità politiche del governo israeliano. Clamorose al punto di fargli perdere la guerra della simpatia e della solidarietà, peraltro un classico nella storia millenaria del popolo ebraico, indiscusso campione mondiale di caproespiatorietà. Proviamo invece a concentrarci sul fatto che le reazioni di Israele giuste o sbagliate che siano nascono dall’eccidio di 1.200 persone. Un massacro teorizzato prim’ancora che pianificato ed eseguito: uccidere l’ebreo è la ragione sociale di Hamas.
Conosco poco della guerra israeliano-palestinese e ancor meno della situazione politica in Israele. Inoltre non so quasi nulla riguardo alla vita e alla cultura islamica contemporanee. Nonostante riguardi 1,5 miliardi di persone, quel mondo esercita su di me un interesse simile al ciclo riproduttivo del cetriolo di mare. Diciamo che la sola cosa che in qualche misura interferisce con la mia vita è come le persone di cultura e religione islamica affrontano la modernità nel mondo occidentale, nei paesi che si sforzano di essere laici, tolleranti e liberali. Una beata indifferenza turbata dal silenzio con il quale il mondo islamico reagisce ogni volta che qualcuno ammazza, stupra, tortura, rapisce nel nome di Dio. Il loro Dio.
Non leggo i giornali di Giacarta e nemmeno di uno degli – immagino numerosi – organi europei di informazione islamica. Preciso inoltre di non seguire neppure le trasmissioni in lingua inglese di Al Jazeera; sicchè può darsi che quello che a me pare silenzio cosmico sia la conseguenza della mia sorda ignoranza. Nondimeno non ricordo una dichiarazione, un comunicato stampa e neppure un appello non dico di condanna ma almeno di presa di distanza, come si dice nel linguaggio untuoso delle diplomazie, emesso dalle autorità religiose in Italia. Nel dubbio ho scorso le news del sito UCOI (Unione comunità Islamiche d’Italia). Il solo accenno a ciò che è successo è datato 31 ottobre 2023 (“Guerra a Gaza: Israele si ritiri e metta fine al genocidio del popolo Palestinese”). Se avete il garbo di leggerlo troverete la stessa zuppa dei propal di casa nostra: non una parola del perché l’esercito di Israele combatta a Gaza.
Nonostante sia dell’idea che le religioni appartengano alla categoria della letteratura fantastica, il fatto che l’Islam sia la seconda religione praticata nel nostro paese non mi lascia del tutto indifferente. Inutile girarci intorno, la domanda cruciale è sempre la stessa: terrorismo a parte, l’Islam è compatibile con la democrazia, la laicità e i diritti dell’uomo? E’ il tema che affronta “L’islam e il futuro della tolleranza” (Nessun Dogma) attraverso il dialogo tra Sam Harris, saggista statunitense, e Maajid Nawaz, musulmano di origine pakistana, ex islamista fondatore di Quilliam, organizzazione che combatte l’estremismo sotto ogni sua forma. Giunti a circa metà del piccolo libretto ci si imbatte nella trascrizione di un dialogo avvenuto on-line con un sostenitore dei Talebani riguardo alla strage di Peshawar. Lo trascrivo integralmente:
La “vita umana” ha valore soltanto per voi pensatori materialisti mondani. Per noi, questa vita è solo un piccolo, insignificante, frammento della nostra esistenza. La nostra destinazione reale è l’aldilà. Non solo crediamo che esista: noi sappiamo che esiste.
La morte non è la fine della vita. È l’inizio dell’esistenza, in un mondo molto più bello di questo. Come sai, la parola con cui si indica la morte in urdu è “intiqaal”, che letteralmente significa “trasferimento”, non “fine”.
Il paradiso è per i puri di cuore. Tutti i bambini hanno un cuore puro. Non hanno ancora avuto l’occasione di peccare… Non sono ancora stati corrotti dai loro [genitori miscredenti]. Quindi noi non abbiamo posto fine alle loro vite. Abbiamo dato loro nuove esistenze in paradiso, dove saranno amati più di quanto tu possa immaginare. Saranno ricompensati per il loro martirio. Dopotutto, anche noi ci martirizziamo con loro. Le ultime parole che hanno sentito pronunciare sono state il takbir (“Allahu Akbar”)
Iddio misericordioso ha detto Egli stesso nella sura di Al Imran (13:169- 170) che loro non sono morti.
Questo voi non lo capirete mai. Se la vostra fede è pura, non li piangerete, ma festeggerete la loro nascita in paradiso.
Ecco, queste sono le motivazioni che spingono un terrorista islamico ad ammazzare 132 bambini islamici nel nome di Dio. Non solo ebrei e non solo cittadini israeliani quindi: i musulmani massacrati dai fanatici islamisti sono molti di più. Si ammazza perché la vita terrena è una finzione, non vale nulla.
Di nuovo, ancora una volta, mentre i ragazzotti gridano per le strade “dal fiume al mare” senza tuttavia saper indicare né l’uno né l’altro, mentre istituzioni che dovrebbero essere votate alla libertà del sapere cedono ai ricatti del boicottaggio, la domanda è ancora e sempre la stessa: dove sono i fedeli dell’Islam timorati di Dio? Perché tace la “maggioranza silenziosa” che vuole vivere e prosperare nella pace? Perché gli abitanti di Gaza, amatissimi nel mondo arabo anche se nessun paese arabo è disposto ad ospitarli, non “prendono le distanze” da Hamas? Ne frattempo, in attesa di risposte certe, forse è il caso di spostare la categoria “religione” dalla letteratura fantastica alla sezione racconti dell’orrore.