Ripensare la diversità

By on Set 10, 2016 in Contemporaneità, Filosofia

Profondità e chiarezza raramente vanno d’accordo. Maggiore è la profondità più grande sarà lo sforzo di comprensione. Una legge bronzea che ci riduce chiappe all’insù come i ragazzini al mare quando tentano di andare sott’acqua. Il breve saggio di Kenan Malik (“Il multiculturalismo e i suoi critici”, Nessun Dogma, 10 euro) è una delle eccezioni che confermano la regola. Un testo breve che sin dalla prefazione espone la tesi dello studioso: celebrare la diversità opponendosi al multiculturalismo.

Il saggio prende le mosse da una breve esposizione delle radici storiche e filosofiche del multiculturalismo (tanto per cambiare Herder vs. Illuminismo); analizza le politiche multiculturaliste messe in atto in Europa e i (disastrosi) esiti, e si conclude con una disamina delle posizioni antimulticulturaliste contemporanee. Ovvero, perché sia il multiculturalismo che il malcontento che esso suscita siano da mettere in discussione.

L’analisi Malik, filosofo britannico di origine indiana, prende in considerazioni tre casi contemporanei: le politiche multiculturali inglesi e tedesche e i loro disastrosi risultati, la storia della fatwa allo scrittore anglo-indiano Rushdie, e il caso delle vignette pubblicate da un giornale danese e poi riproposte da Charlie Hebdo che scatenarono l’indignazione islamica.

Le politiche multiculturali inglesi e tedesche nascono dal rifiuto di integrare realmente le persone di religione musulmana, di riconoscerle in toto quali cittadini con pari diritti e doveri, costruendo loro enclave ben presto dominate dalle figure di “rappresentanti” nel migliore dei casi conservatrici; il caso delle vignette accusate di blasfemia perché riproducevano le sembianze del Profeta Maometto come un classico esempio di manipolazione “a freddo” da parte di imam in cerca di visibilità e rappresentatività. Un pretesto manipolato con assoluto cinismo, poiché spiega l’autore, la religione islamica NON vieta la rappresentazione del suo volto. (Un corto circuito che mette in moto un meccanismo infernale di rappresentazione e autorappresentazione, al punto che per i progressisti se un musulmano non si sente offeso dalle vignette “è perché non è un vero mussulmano”: follia pura…).

Nel Regno Unito e in Germania le politiche multiculturaliste hanno portato a trattare gli individui provenienti da comunità di minoranza non come cittadini, ma semplicemente come membri di particolari gruppi etnici: il risultato è la creazione di società frammentate, l’alienazione di molti individui e la trasformazione degli immigrati (tutti in quanto tali) in capri espiatori.

La conclusione di Malik farebbe ridere se non facesse piangere: le argomentazioni dei nemici del multiculturalismo, i seguaci dello scontro di civiltà alla Fallaci per intenderci, sono le stesse dei sostenitori del multiculturalismo. Al di là degli insulti che si scambiano cordialmente, condividono entrambi i presupposti di fondo sulla natura della cultura, dell’identità e della differenza. Entrambi considerano le divisioni sociali come frutto di una matrice culturale o di una civiltà. Entrambi considerano le culture o le civiltà come entità omogenee. Entrambi insistono sull’importanza cruciale dell’identità culturale e sulla preservazione di questa identità. Entrambi ritengono irrisolvibili i conflitti che emergono da “valori non negoziabili”.

(L’altra sera su Rai Storia la puntata era dedicata a Rita Levi Montalcini. Tra le molte cose che raccontava di sé e della propria vita, uno spezzone d’intervista mi ha particolarmente colpito. Narrava dei suoi anni di studio e lavoro negli USA. Precisava che i suoi migliori amici erano fisici russi ebrei, intelligentissimi diceva. Molti degli italiani, soggiungeva, erano nostalgici di Mussolini e rimpiangevano il regime fascista. Con loro non avevo niente da spartire. Ripensando alle conclusioni di Malik sulle matrici culturali, sui muri etnici invalicabili, e sui destini dell’identità, immaginiamo di vivere a New York negli anni Trenta e Quaranta: quanti di noi si sentirebbero ben rappresentati dai picciotti della Little Italy di allora? Quanta parte della così detta “identità italica” spacciata dalla triste retorica pizza-ammmore-mandolino sentiremmo realmente e totalmente nostra?).

Concludo citando Sherif El Sebaie (Opinionista Panorama, consulente diplomazia culturale, interprete ONU. Italo-greco-egiziano) “Voglio essere chiaro con i lettori per evitare equivoci. Nei miei post parlo di islamisti e non di musulmani. Anche in arabo ci sono due termini distinti e mi piacerebbe che questa distinzione prenda piede anche nel dibattito pubblico. I musulmani sono un miliardo e mezzo, di tutte le culture, etnie ed orientamenti. Gli islamisti sono una minoranza organizzata e ben finanziata che usa la religione per piegare quel miliardo e mezzo al loro dominio, trasformandoli in cloni intercambiabili, che pensano e si vestono uguale. Se al momento ci stanno riuscendo, è anche grazie all’aiuto di chi fa confusione o di chi difende le loro istanze pensando che siano quelle dei musulmani in toto.”.