La cosa più divertente della vicenda in realtà assai triste dei signori Dolce e Gabbana sono state le interpretazioni, a cominciare da quelle del solitamente assai lucido Vittorio Zucconi. “Quelle scuse imposte dall’economia” titola il suo pezzo, esemplare della vasta categoria di coloro che invece di ragionare sulle responsabilità mettono l’accento sulla coesione permalosa della nazione più popolosa della Terra. Intendiamoci, nessuna simpatia (anzi: parecchia preoccupazione) per l’ipernazionalismo del Celeste Impero il cui fanatismo patriottico si spinge sino a negare l’autenticità della famosa foto di Tienanmen quella che ritrae un uomo con la sporta sotto il braccio intento a bloccare un carro armato; sarebbe solo un falso creato a bella posta dagli occidentali per screditare il loro paese, affermano serissimi i cinesi ai quali si ha la dabbenaggine di porre la domanda.
Il punto non è l’orgoglio nazionale e neppure la coesione permalosa di un paese, quanto la clamorosa topica presa dai signori Dolce e Gabbana. Chiunque abbia lavorato in pubblicità, a qualunque livello e in qualunque stagione, sa che una campagna pubblicitaria è un bene fragile e delicato, persino più di un’orchidea Cattleya. “Pensare una campagna”, anche quelle piccoline sfigatelle da quattro soldi, significa ragionare e parecchio sui dati di contesto (a chi parlo, cosa voglio comunicare, qual è il tono di voce ideale e altre quisquilie) prima di mettersi al lavoro creativo vero e proprio. Una campagna, ricca o miserina, nel peggiore dei casi è come un farmaco omeopatico: zero danni, fatto salvo l’orgoglio del creativo e la botta al portafoglio del finanziatore. Nei migliori, quando tutto funziona a dovere, parlano nell’immediato le vendite e nel lungo la reputazione.
La topica presa dai paladini del made in Sicily è dunque clamorosa: hanno speso tempo e quattrini – parecchi – per produrre un commercial che il destinatario ha gradito come uno sputo in un occhio. L’equivalente di un venditore che dopo aver bussato alla porta di casa pensa di ingraziarsi il cliente con una battutaccia a sfondo sessuale. Così D&G hanno perso vendite nell’immediato e quel che è peggio reputazione, il più importante attributo di un brand. La domanda delle cento pistole è dunque la seguente: come hanno scelto, guidato (condizionato?) la loro agenzia di pubblicità in un evento che avrebbe dovuto essere – e in effetti lo è stato – epocale?
Dicono che il genio imprenditoriale consista nel sapersi circondare di collaboratori coraggiosi oltreché competenti, personcine con la schiena dritta capaci di mettersi di traverso quando sentono puzza di puttanata. Ma si sa, i Re Soli non amano essere contraddetti.