Con questa faccia da Straniero

By on Mar 22, 2023 in Contemporaneità

Faccio un giochino un po’ scemo con i miei nipoti. Posto sulla chat di famiglia le peggio cose musicali che la memoria mi aiuta a scovare. Per intenderci, dai “Venti chilometri al giorno” di Nicola Arigliano all’ultima canzoncella di Madame, buttando un occhio alla Cinquetti e un orecchio all’imarcescibile Berti. E’ un gioco educativo più di “Sapientino”. Insegno loro che nella Storia della Cultura di Tutti i Tempi e di Tutti i Paesi, ahinoi la costante è la cacca. Lo zabajone (variante: il cioccolato) è l’eccezione.

L’altra sera trafficando sul cellu finisco per sbaglio su George Moustaki. Era il lontano (lontanissimo) 1969 quando inondò le radio private con il suo “Le métèque”, canzone non so se più furba o più autobiografica. Sono ignorante, oltre che smemorato come un cardellino meningitico; sicchè mi è parso di buon senso l’idea di gogolare al volo la traduzione.

Il risultato eccolo qui

Con questo mio aspetto da meteco,

da ebreo errante, da pastore greco

e con i miei capelli al vento,

con i miei occhi assenti

che mi danno l’aria di un sognatore,

io che non sogno più (tanto) spesso.

Con le mie mani da piccolo furfante,

da musicista e da viandante

che hanno frugato in tanti giardini.

Con la mia bocca che ha bevuto,

che ha baciato e che ha morso

senza mai placare la sua fame.

Con questo mio aspetto da meteco,

da ebreo errante, da pastore greco

di ladro e di vagabondo.

Con la mia pelle bruciata

al sole di tutte le estati

e di tutte quelle che portavano le sottane.

Con il mio cuore che è stato capace di far

soffrire tanto quanto ha sofferto

senza per questo fare tante storie.

Con la mia anima che non ha più

la minima possibilità di salvarsi

per evitare il purgatorio

da ebreo errante, da pastore greco

e con i miei capelli al vento,

verrò, mia dolce prigioniera,

mia anima gemella, mia sorgente viva,

verrò a bere i tuoi vent’anni.

 

E sarò un principe di sangue,

un sognatore oppure un adolescente

a seconda di come vorrai scegliere.

E faremo di ogni giorno

una intera eternità d’amore

che vivremo fino alla morte.

E faremo di ogni giorno

una intera eternità d’amore

che vivremo fino alla morte.

Meteco? Nell’edizione italiana non c’è nessun meteco: Moustaki canta “con questa faccia da straniero”. Tuttavia la parola métèque genera un’eco parecchio interessante. Nel mondo Greco il meteco era infatti “il forestiero libero che risiedeva stabilmente in una città, escluso dalla partecipazione attiva alla politica e gravato di particolari imposte”. Stranieri in patria i meteci occupavano una posizione intermedia tra i cittadini dotati di diritti e gli schiavi.

Ora a prescindere, come direbbe Totò, dalla gradevolezza della canzoncina, le considerazioni che mi paiono in qualche modo obbligate sono due. La prima riguarda il fatto che Moustaki rappresentasse davvero l’immagine che la gente si fa del così detto “ebreo errante”: un uomo nato ad Alessandria d’Egitto da famiglia ebrea di Corfù di origine italiana, che vive in Francia. La seconda è afferente al concetto di straniero privo di diritti politici, equiparabile oggi allo status di migrante in fuga dalla guerra, dalla miseria o da entrambe.

Quando nel 1969 fu pubblicato “Le Métèque” erano trascorsi appena due anni dalla Guerra dei Sei Giorni: Israele era ancora amatissima nel mondo e godeva dello status di novello Davide che aveva abbattuto l’orrido Golia. Fermo restando che l’antigiudaismo e l’antisemitismo sono sentimenti millenari che covano per nulla nascosti sotto le ceneri, mi domando cosa accadrebbe oggi se un cantante si presentasse in pubblico chitarra alla mano declamando versi tipo “con questa faccia da straniero / da ebreo errante / da pastore greco /da ladro e da vagabondo”.

Dimenticavo. La canzone ebbe immediato e duraturo successo. Georges Moustaki fu adottato dal pubblico italiano e apparve persino in qualche “Carosello”, allora il sigillo della conquistata popolarità popolare. Oltre che sagacemente mariuolo come è doveroso sia chi si definisce “ladro e vagabondo” (la canzone è un tale trionfo di furbizia retorica che persino il Mogol si leva il cappello) Moustaki aveva come si suol dire pure le physique du rôle. Il che, vivaddio, non è un colpa ma un gran merito.

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