Mi capitato abbastanza spesso di chiedermi se Ceronetti sia un imbecille di talento oppure un rappresentante della vasta categoria dei furbacchioni. Nel piccolo mondo della produzione culturale italiana prosperano entrambi. Ogni volta che lo “incontravo” mediaticamente non potevo non pormi la domanda. In verità, un quesito breve come un sospiro: ma questo fregno buffo, come dicono a Roma, ci è o ci fa? mi dicevo girando il foglio del giornale. Intendiamoci, son quesiti con i quali si convive, ma poichè sfiorano (seppur lontanissimamente) la sfera del “Canone occidentale“, ogni tanto, diciamo nei momenti di debolezza intellettuale, uno magari se li pone.
Del resto il quesito “Arte o Furbata”, “Sperimentazione o Marchetta”, “Avanguardia o Puttanata” tiene banco dalla fine degli anni ’50 ad oggi. Morte e sepolte le ultime avanguardie, la nostra è l’epoca dei Koons, delle Abramovic, degli Hirst, dei miliardari del gesto, dell’assemblaggio concettuale di opere che l’artista pensa (sic) e che altri poi (operai siderurgici, tassidermisti, falegnami, ceramisti…) hanno l’onere di realizzare. Un’epoca dove la sola cosa chiara è che anche in questo “settore” il predominio ce l’hanno i mercati finanziari.
Squali in formalina, hitlerini inginocchiati, cani barboni seriali, o perfomance durante le quali l’artista se ne sta nuda immobile di fronte allo sguardo degli spettatori. Opere di fronte alle quali hai l’ovvia tentazione di parafrasare il detto usato per la (così detta) arte naif. “Naif? Arte naif? – esclamò il grande critico – Non esiste l’arte naif. Semmai gli acquirenti naif”. Ed in effetti di pitturini coi cavallini, casette, mucchine e girasoli, non se ne vedono più in giro.
Tornando al povero Ceronetti che guadagni miliardari col suoi teatrini e le sue marionette non ne ha mai fatti, la nuova turbativa della sua presenza nasceva dal fatto che il mio giornale (mio per scelta elettiva sin dal primo numero nel lontano 1976) ha preso ad ospitare in posizione prestigiosa (prima pagina, spalla desta) le sue intemerate. E il Ceronetti, a partire dalla richiesta di un non meglio precisato sostegno erotico per i maschietti anzianissimi (e le donne? perchè le donne no, Guido?) non si è smentito.
Be’, basta non leggerlo, vi direte. E non a torto. Un commento economico di Fubini, l’Amaca di Serra Michele, un articolo sulla Giuve di Maurizio Crosetti, valgono già il prezzo del biglietto. Ma uno strano disagio da senilità incombente, quel noto sentore di padiglione per lungo degenti che ben conosce chi li deve frequentare – minestra in brodo e pannoloni per incontinenti – comincia a spargersi dalle pagine del pur amato giornale, quasi che il mio quotidiano stia dventando l’imbarazzante res-pubblica dei novantanni che la penna non la mollano neanche a morire. (Ogni riferimento al fondatore è voluto).
L’altro giorno, però, m’imbatto in un numero arretrato del “Venerdì”. Nel gioco degli specchi delle abili “cucine editoriali” che tutto rifriggono e niente mai gettano, è pubblicata un’intervista al Ceronetti.
Confesso, ero a corto di strumenti di lettura in una circostanza nella quale non se ne può davvero fare a meno. Il numero era davvero vecchio e molto compulsato. Così, obtorto collo, saltato il pezzo dedicato a Turing, mi tocca il Ceronetti.
“Cos’ha in lavorazione?” chiede l’intervistatore.
“Hmmm… Qualche riflessione su Haidegger” risponde il nostro.
(Madonnina mia, penso. Qui ci scappa la cazzata grave. Dài Guido, lascia stare, imploro mentalmente pensando ad un’età che comunque merita rispetto).
“In Germania stanno uscendo i suoi Quaderni neri. Perlomeno imbarazzanti, non trova?” chiede l’intervistatore
Imperterrito, l’inventore del “teatro dei Sensibili” risponde:
“Era un pavido (Heidegger, NdA) Essendo diventato inviso al Partito (Nazista, NdA) che l’aveva accantonato, ma lasciandolo in pace – posso immaginare che in quegli anni (gli anni in cui si sterminavano gli ebrei e l’Europa era messa a ferro e fuoco NdA) abbia pensato di mettere nei diari quattro o cinque idiozie antisemite. Come a dire: “Se la Gestapo viene a farmi una perquisizione, nei miei scritti scoprirà che la penso come il Partito”.
L’intervistatore non da requie e prosegue: “All’epoca dei processi lei difese Erich Priebke.”
“Sì. Andai a trovarlo in carcere. Avviammo una corrispondenza… Qualche cretino scrisse che ero antisemita. Roba da farti cascare le braccia. Io ho sposato la figlia di una deportata ad Auschwitz, tanto per dirne una”.
Adesso le braccia cascano a me, come caddero a qualche altro, più di uno, all’epoca.
“Ho sposato la figlia di una deportata ad Auschwitz” è un certificato di filo-ebraismo come “aver fatto il militare a Cuneo” nella celebre battura di Totò è un attestato di conoscenza del mondo.
Ma il capolavoro (d’ignoranza, di imbecillità senile, di imbecillità tout-court?) è la giustificazione di Priebke, il massacratore delle Ardeatine: era un funzionario dice il Ceronetti.
Un funzionario, capite? Cioè colui il quale si occupa (si pre-occupa) affinchè le cose funzionino: che il treni siano zeppi, il gas nelle camere e i forni belli caldi. Un funzionario: come Eichmann, come le migliaia di bravi funzionari che fecero funzionare a perfezione la macchina della distruzione. Cercare, stanare, ammassare, avviare ai campi milioni di ebrei, zingari, omossesuali.
“Sono un funzionario, obbedivo agli ordini” è allora come oggi la risposta preferita dei massacratori di professione (Argentina, Cile, Cambogia, Jugoslavia…) che non vogliono assumersi le loro responsabilità. Ma un conto sono loro – e per loro ci sono i tribunali degli uomini e i Tribunali della Storia – un conto sono i clown della parola che, come Ceronetti, giocano impunemente con le parole.
Affermare che Heidegger fosse un solo un “pavido spaventato”, significa non conoscere Heidegger. Oppure – e questo è infinitamente più grave al punto di non avere attenuanti – giustificare il più grande, autentico e perfettamente sincrono, pensatore del nazismo.
Il tempo gioca a favore del vino buono e contro gli uomini. I migliori con l’età sono destinati a rincoglionire. I peggiori, non potendo ulteriormente peggiorare, possono sempre contare sulla pietà che è dovuta agli anziani e ai deboli. In particolare a quelli di mente.
Pietà per gli imbecilli privi di talento. Un monito per chi continua a pubblicarli.