Quando muore un giornale, un giornale vero intendo e non un fogliaccio di calunniatori, è un guaio serio per tutti. Anche per chi non lo ha mai letto. Quando muore un giornale degno di questo nome, muore un modo – unico ed esclusivo – di vedere e raccontare il mondo. E senza quella visione, che può piacerci o meno beninteso, siamo tutti un po’ più poveri perché privati di un cannocchiale (o di microscopio).
Non ho mai amato l’Unità, a partire dall’inchiostro che regolarmente ti restava sulle mani. L’ho comprata solo ai tempi di Cuore e di Tango (ricordate?) gli inserti satirici di Serra, Staino e Vincino. E solo il lunedì, beninteso. Si tenevano gli inserti e si gettava il giornale, tanto era plumbeo e noioso come una sinfonia di Bruckner.
Lo stesso con le prime video-cassette spacciate dal Walterino (Veltroni). Si comprava l’Unità per il film, se il film piaceva, beninteso. E il giornale ciccia. Per non parlare dell’ultima sciagura, la sciroccata direzione di Concita De Gregorio, che nel tentativo di rivitalizzare il senescente quotidiano fondato da Antonio Gramsci, l’aveva trasformato nella succursale di Hello Dolly.
Fare un giornale, farlo bene dal punto di vista dei contenuti e farlo stare in salute da quello del conto economico, è un’impresa che al confronto liberare Prometeo dalla rupe ci riesce pure il Brunetta. In tutto il mondo, ma particolarmente in Italia dove la gente non legge. Figurarsi adesso che i giornali stanno sul web e, al momento almeno, sono pure gratis. Ci è riuscito solo l’Eugenio Esse a inventare un giornale, farlo crescere, uscire di adolescenza e diventare adulto. Tutti gli altri, kaputt.
Così, l’unico che festeggia ridendo la morte di un nobile quotidiano è il Grillo. Lui è contro tutti i giornali, tutte le televisioni, tutti i blog. Escluso il suo, beninteso. Meno la gente legge, più si conforma. Più si conforma, più crede di sapere. E finisce col fidarsi di chi sostiene che anche gli asini di tanto in tanto possono volare.