Sono un uomo fortunato. Ho un ridotto numero di amici su Facebook. Fortuna ancora maggiore, la maggior parte di essi scrive cose intelligenti. L’altro giorno ho commentato un post di Mattia Feltri, quello che su “La Stampa” prendendo il posto di Gramellini ha innalzato non di poco la qualità della rubrica. Il post di Feltri junior sanamente acidulo come di norma raccontava di come la dichiarazione di Casini sulla commissione d’inchiesta bancaria di cui sarà presidente, fosse stata storpiata sino a stravolgerne il significato da un giornalista incapace e/o malintenzionato. Il che spesso è la stessa cosa.
Al mio commento sarcastico sulla crisi di vendita dei giornali, conseguenza logica di prodotti pensati e redatti in modo sciatto, trascurato e spesso palesemente manipolatorio, Feltri mi ha risposto sostenendo che la crisi dipende dal fatto che sul web i giornali sono gratis (e quindi rubano lettori all’edicola).
Non so se la storia degli struzzi sia una diceria. Ma l’idea che un giornalista acuto e sanamente polemico ricorra alla teoria della papera (“l’acqua è poca e la papera non galleggia”) per giustificare un fenomeno stigmatizzato da lui stesso solo poche prima, ovvero di giornali fatti coi piedi da giornalisti sciatti e approssimati, mi stupisce.
Gli italiani non sono un popolo di lettori, non lo sono mai stati. “L’apice delle vendite dei quotidiani in Italia è stato raggiunto nel 1990” – scriveva Piero Macri nel 2009 – “In base ai dati forniti da Fieg l’apice delle vendite dei quotidiani in Italia, è stato raggiunto nel 1990. A quell’epoca la vendita media giornaliera ammontava a quasi 7 milioni di copie, per l’esattezza, 6.808.000 . Da allora in poi si è conosciuta una progressiva diminuzione: nel 2008 la media giornaliera è stata di 5.291.000, in perdita del 2% rispetto al 2007. Una diminuzione uguale se non superiore è prevista per il 2009. Vale a dire che, dal 1991 a oggi, si sono bruciate circa 100 mila copie all’anno. Se volessimo ragionare di sola matematica potremmo affermare che tra cinquant’anni i giornali italiani scompariranno. Forse anche prima, considerato che la fase ciclica negativa si è accentuata nell’ultimo decennio.
“Nel frattempo” – continua Macrì – “cresce il numero complessivo dei lettori: sommando carta e online i lettori perduti nella carta stampata sono stati rimpiazzati e incrementati dal web. Una tendenza che si evidenzia a livello internazionale e pressoché nei singoli paesi, Italia compresa. In base ai dati Nielsen (Novembre 2008) il numero di notizie, articoli, servizi prodotti da carta e internet è aumentato a dismisura. Si produce molta più informazione. Prodotta da chi? Non solo da giornalisti, o quanto meno non solo da giornalisti appartenenti e riconosciuti dalla categoria. Considerato il lavoro prodotto da collaboratori esterni e contenuti prodotti su siti internet, il costo della produzione procapite dell’informazione si è significativamente ridotto”.
Questo nel 2009. Da allora si è continuato a produrre “molta più informazione”, gratuita o semi-gratuita. Come il web del resto, dove è tutto ancora più o meno gratuito. Purtroppo “gratuito o semi gratuito” significa inevitabilmente di scarsa se non addirittura scadente qualità. Che nel caso dell’informazione significa notizie verosimili, non verificate, se non addirittura false e/o falsificate.
In questo contesto la “politica editoriale” dei grandi quotidiani (grandi si fa per dire viste le tirature) scimmiotta le testate scandalistiche (“stupri e violenze” strillati in prima pagina proprio quando gli eventi violenti diminuiscono) in una gara di popolarizzazione senza freni nè pudore. Come sa bene chi ha avuto modo di viaggiare nel recente passato, ogni volta che compare la dicitura “popolare”, che si tratti di una repubblica o di un giornale il risultato è sempre lo stesso. Si mangia male e si legge peggio.