Quest’anno ho pensato di disertare l’appuntamento. Scrivere anche solo due righe per il “giorno della memoria” mi pareva impossibile. La marea di dichiarazioni imbecilli, se non espressamente criminaloidi, provenienti dal variegato mondo propal inducono alla depressione più che alla rabbia.
Poi l’altro giorno ho scorto nel quartiere dove abito il baluginare dell’ennesima pietra d’inciampo. A Milano spuntano come funghi. L’anno scorso ne hanno posate 26 portando a 171 il totale. Numero provvisorio, purtroppo.
La pietra d’inciampo, l’abbiamo letto un milione di volte, è un’invenzione dell’artista tedesco Gunter Demnig. Un’idea geniale, forse la sola possibile per contrastare la fine della memoria: fra poco non sarà più in vita neppure un testimone.
Purtroppo, e le imbecillità troppo spesso criminaloidi dei propal lo dimostrano, il “giorno della memoria” non serve a nulla. Si commemorano le vittime e i superstiti quando invece l’appuntamento civile riguarda i carnefici. Loro e tutti coloro che per viltà, indifferenza o – peggio – collaborazione attiva, resero possibile lo sterminio.
A proposito di fallacia della memoria, devo a un bellissimo articolo di Wlodek Goldkorn un concetto espresso da Zygmunt Bauman in “Modernità e Olocausto”. Pur avendolo letto con attenzione, non ricordavo un pensiero che oggi mi appare fondamentale: la vera causa d’agente dello sterminio non è il sadismo, che pure alberga in molti esseri umani, bensì l’obbedienza. Riflessione credo stimolata da un lavoro di Hannah Arendt (“Disobbedienza civile. Alcune questioni di filosofia morale”).
Concludo questa minimissima moralia con una confessione: quella che un tempo mi era parsa un’affermazione esageratamente pessimista di Primo Levi (“Auschwitz è fuori di noi, ma è intorno a noi. La peste si è spenta, ma l’infezione serpeggia”) oggi giganteggia per lucida preveggenza.
Foto di proprietà della Comunità Ebraica di Milano