Già dalla prefazione si comprende che Maurizio Ferraris dev’essersi divertito più che abbastanza nello scrivere “L’imbecillità è una cosa seria” (Il Mulino, 12 euro). L’ironia, la capacità di unire registri diversi esplorando la cultura “alta” e quella “bassa”, in questo perfetto sodale di Eco, rendono estremamente stimolante la lettura anche dei suoi scritti più ostici. Teorico del realismo positivo (“È banale dirlo, ma conviene non dimenticarlo: è la realtà che salva, non l’illusione”) insegna Filosofia teoretica all’Università di Torino dove dirige il Laboratorio di ontologia).
Ferraris sostiene che “ogni epoca ha i suoi tromboni, così come ha i suoi bugiardi, i suoi furfanti, e ovviamente i suoi imbecilli”. Impossibile dargli torto: e infatti l’agile volumetto mette insieme una quantità di imbecillità assortite dove, ad esempio, Popper è in buona compagnia insieme a Rousseau e Platone a proposito del loro rifiuto della tecnica. La tecnica, quale che sia – sostiene Ferraris – “non ci aliena né ci instupidisce. Semplicemente potenzia vertiginosamente le occasioni in cui possiamo farci conoscere per quelli che siamo: quanta più tecnica, tanto maggiore imbecillità percepita”. E così prosegue: “noi non siamo affatto più imbecilli dei nostri antenati… (siamo) mediamente più istruiti e più alfabetizzati… E’ proprio qui il problema. Nel mondo di internet assistiamo ad un fenomeno che, nel suo complesso, può essere considerato come un frutto dell’illuminismo, della capacità delle persone di pensare con la loro testa: la gente cerca, si documenta, discute. Che poi il frutto di questi pensieri autonomi possa non piacere, magari risultando arrogante, aggressivo o semplicemente imbecille, è un fatto”.
“Pensieri autonomi” li chiama molto elegantemente Ferraris. Sono quelli a cui, ad esempio, la gentile intervistatrice albanese ha cercato di stimolare in me nel corso del sondaggio telefonico sull’operato del Governo che ha interrotto la stesura di questa madeleine. Cosa ne pensa del rischio sismico, mi ha chiesto tra l’altro, insistendo (come era suo dovere nel rispetto del questionario) perché mi esprimessi riguardo all’intensità dello stesso nelle diverse regioni, se alto, medio, basso o nullo. Non sono un geologo, le ho risposto, si rivolga a loro. Suggerendo che certamente avevo “opinioni in proposito”, ma che appunto di pure “opinioni” si trattava, e quindi insignificanti. (Quanto dovrebbero essere spessi i cavi di un ponte sospeso per reggere il traffico automobilistico? Quanto carburante è necessario per arrivare sulla Luna? Quante dosi di chemioterapia sono mediamente necessarie per curare un ammalato… “medio”? Quanti angeli stanno su una capocchia di spillo…?)
Ecco, questo è il punto: il “pensiero autonomo” che internet esalta e rende globale e immediato, potenziando in modo esponenziale l’imbecillità collettiva, fenomeno denunciato da Eco en passant nel corso di una conferenza che nessuno ricorda più, mentre furono parecchi quelli che si sentirono toccati nel vivo.
Facciamoci coraggio, secondo Ferraris pare che l’imbecillità sia un motore della storia e della stessa evoluzione umana. Noi tutti, chi più chi meno, soffriamo di questa malattia. Il punto è sempre lo stesso: la consapevolezza. (A proposito di imbecillità spicciole, giuro che d’ora in poi saprò resistere all’insano desiderio di “dire la mia” in una delle molte demenziali conversazioni che furoreggiano sui social sull’albergo sepolto dalla neve, dove la cazzata è mortale peggio di una slavina…)