Stavo per commettere il più tragico degli errori all’insegna di quell’io-io-io che è la croce senza delizia della nostra epoca, quando la scorsa dei giornali di questi giorni mi ha salvato in angolo; cosa penso del referendum delle trivelle non interessa neppure mia cugina Adalgisa di Casalbuttano, figurarsi i quattro affezionati lettori che insistono a frequentare questa fanzina, quindi tutti salvi (io per primo).
La vera notizia, o meglio: il tic mediatico che ha colpito come un’ondata di scarlattina la piccole aulette del nostro giornalismo asfittico, è il mantello di santità con cui è stato avvolto il povero Casaleggio. (Scrivo povero senza alcuna ironia: un uomo che muore a 61 anni nonostante le potenzialità della medicina occidentale, è da considerarsi senza dubbio sfortunato e parecchio).
Commentatori, opinionisti, direttori di giornali (cartacei, digitali, radiofonici e televisivi) hanno inondato gli spazi loro affidati impiegando tutti insieme appassionatamente due aggettivi: innovativo e visionario. Fateci caso, quando nel tritacarne della comunicazione tutti usano gli stessi termini, le stesse allocuzioni e addirittura come in questo caso le stesse metafore, gatta ci cova. Se poi ciò accade in occasione di una – prematura o meno – scomparsa, è il caso di affermare che due indizi rischiano di trasformarsi in mezza prova.
Fateci nuovamente caso, quando qualcuno sufficientemente noto muore – improvvisamente oppure garbatamente, dando cioè modo agli apparati redazionali di apparecchiare con calma notizie e speciali – di colpo s’ammanta di qualche santità. E’ recentemente accaduto con la pur sgradevole Zaha Hadid, l’architetta anglo-irachena dal truce occhio basedowiano, nota per reiterati progetti curvilinei accolti con lo entusiasmo dai dittatori delle ex-repubbliche sovietiche e dal Maxxi di Roma, improvvisamente trasfigurata dalla campagna pubblicitaria del Gruppo Repubblica-Espresso nella “donna che ha disegnato il futuro” (speriamo che no, visto lo spreco di curve e l’ingombro di materiali). Ma se nel caso della straripante architetta si tratta in fondo di piazzare qualche copia in edicola, la ragione dei panegirici a Casaleggio continua a sfuggirmi
Pur avvolti nella solita nuvola di ipocrisia sollevata dalla più parte dei politici italiani, non resta che tentare di riflettere sulle parole. “Visionario”, ad esempio, è un aggettivo difficile oltreché (molto) pericoloso. Visionario era San Francesco. Ma anche Steve Jobs. E, fatte le debite proporzioni, persino l’Arrigo Sacchi, l’omarino di Fusignano che ha “rivoluzionato” il calcio italiano.
Nel dubbio, chiediamo aiuto alla Treccani.
Visionario
- Che ha delle visioni, delle apparizioni soprannaturali o delle allucinazioni visive: un santone, un anatico v.; un soggetto paranoico v.; una ragazza psichicamente labile e v.; come sost.: un v., una visionaria; i v. hanno spesso il ruolo di angeli nella letteratura
- Che immagina e ritiene vere cose non rispondenti alla realtà, o elabora disegni inattuabili; sognatore: politici, riformatori v.; e come sost., essere, o essere considerato un v., una v.; come puoi credere a quel visionario?
- Nel linguaggio della critica d’arte, si parla talora di pittura v., o più genericamente di arte v. per qualificare (come giudizio obiettivo) opere figurative prodotte da artisti, per lo più autodidatti, schizofrenici o comunque affetti da disturbi psichici. Nella critica cinematografica, invece, il termine è usato con riferimento a registi particolarmente dotati della capacità di creare situazioni e immagini fantastiche, irreali e di forte impatto visivo (di talento v. si parla, per es., per il regista F. Fellini del film Satyricon).
L’altra parola che gronda nei panegirici di questi giorni è l’aggettivo innovativo. Ora, come ben sanno i miei amati clienti, due parole (lemmi, termini, vocaboli) prego loro di usare con cautela e misura. Meglio: con umiltà. La prima è leader, la seconda è innovativo, e le declinazioni innovatore, innovazione. Fateci caso, non c’è un’azienda che non rinuncia a definirsi “leader”. Di mercato, di progetto, di regione. Sempre e comunque. Anche quando la sola leadership consisterebbe nella qualità del caffè aziendale o nella inconsueta morbidezza della carta igienica nei bagni aziendali. Eppure, pare non ci sia azienda che non abbia innovato qualcosa o qualcuno, e non continui a reiterare quella che invece di un qualità, finisce con l’apparire solo una vuota coazione a ripetere.
Cosa dice la Treccani?
innovativo agg. [der. di innovare]. – Che innova, che porta innovazione o innovazioni, che tende a innovare: provvedimenti, programmi i.; presentare concrete proposte i.; un imprenditore i., un’impresa i.; i processi i. di una lingua, di una letteratura; un prodotto i. nel campo dell’elettronica; in partic., lingua i., quella in cui si registrano numerose innovazioni (contrapp. a lingua conservativa).
Che visione innovativa avrebbe avuto dunque Casaleggio tale da distinguerlo dalla massa dei movimenti populisti che dagli anni ’50 ad oggi periodicamente si affacciano nel panorama sociale europeo? La visione di uno spazio vuoto da occupare, certo. Uno spazio creato dalla frustrazione e dalla rabbia. Ma occupato come?
La mia impressione, e chiedo anticipatamente scusa per quel “mia” (le moi est haïssable affermava giustamente Pascal) è che Casaleggio sia stato, e continui ad esserlo tutt’ora, un padrone di anime. Un uomo che con intelligente sapienza ha canalizzato il rancore e la disperazione in un contenitore. Dando un nome e un’identità a questa scatola, trasformandola in un packaging il cui copyright è ben coperto e tutelato da atti notarili. Come un padrone ha esercitato, ed esercita tutt’ora, il controllo delle anime possedute, scrivendo le regole di appartenenza, istituendo processi e sancendo espulsioni.
Come un padrone ha stabilito obiettivi e strategie: non per conquistare le istituzioni, ma per farne carne di porco, per distruggere tutto o quel poco che resta. E’ stato, ed è tutt’ora ché l’impianto gli resiste proprio come Apple prosegue anche senza Steve Jobs, un padrone innovativo. Ha usato, e in questo consiste l’innovazione, la tecnologia digitale. Cosa che nessuno prima di lui aveva fatto in Italia con altrettanta conseguenziale sapienza.
Ma, come stiamo lentamente e faticosamente imparando, tecnologia digitale non significa necessariamente democrazia, anzi. Come affermava Umberto Eco, altra persona sommersa da ovazioni funebri così entusiastiche da apparire sospette, “i social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli”.
Un quarto o più dei nostri connazionali è da ritenersi imbecille? Non credo. O meglio: spero che no. Purtroppo, temo che Eco avesse nuovamente ragione quando affermava “la paranoia della cospirazione universale non finirà mai e non puoi stanarla perché non sai mai cosa c’è dietro. È una tentazione psicologica della nostra specie.”
Non so come se ne esce. Non ne ho la più pallida idea. Nel mio piccolissimo, per nulla visionario e ancor meno innovativo, continuo a rivolgere lo sguardo alle stelle pensando che l’eredità fondamentale dell’Illuminismo consista in un modo ragionevole di ragionare tenendo i piedi ben piantati per terra: una (piccola) filosofia che suggerisce di dare retta al buon senso. Ogni tanto almeno.