Chi è orbo surdo e taci

By on Set 4, 2016 in Comunicazione, Contemporaneità

Se fossi saggio non dico la metà ma anche solo un ottavo di quanto lo è Wladek Goldkorn, l’autore di “Il bambino nella neve”, libro che se fossi il Ministro dell’Istruzione di questo sciagurato paese farei leggere in tutte le scuole di ogni ordine e grado; se fossi saggio avrei evitato come la peste di cadere nel trappolone di commentare gli altrui commenti (nell’ordine: stupiti, stupefacenti o anche più semplicemente stupidi) sulle vignette di Charlie Hebdo. Non quelle dedicate a Maometto, bensì ai terremotati di Amatrice e dintorni.

Mentre Goldkorn si rifiutava con gentile fermezza di entrare nel merito come si diceva un tempo (“non sono un semiologo” rispondeva) io ci sono cascato in pieno. Cito lui piuttosto che un sacco di altre persone sensate e intelligenti che hanno evitato con cura di pestare la merdaccia perché in tal modo ho un’occasione in più per citare il suo libro esemplare nel senso etimologico della parola.

La perdita di tempo per rispondere (puntualizzare, distinguere, chiarire) è stata notevole ve l’assicuro. Per non parlare della noia. Eppure questa storia penso vada al di là del fatto in sé: gli allegri martiri della libertà che di colpo diventano “gli stronzi francesi”. Succede – continua a succedere – qualcosa di preoccupante che coinvolge noi tutti e in primo luogo la povera democrazia. Diciamo più che preoccupante. L’impazzimento riguarda la comunicazione, un’arte (un mestiere?) per sua natura parecchio border-line tra santità di scopi e meretricio di pratiche. E poiché di questa consorteria ne faccio bene o male parte, non posso che rabbrividire di fronte della logica dell’ “uno vale uno” e “nessun leader”. Dalle scie chimiche agli OGM, dai vaccini alla Costituzione italiana, dalle lacrime della signora Renzi per arrivare ai disegnetti di Charlie, è un tripudio di affermazioni, giudizi, proteste, sollevamenti, indignazioni, denunce.

Tralascio l’area trollesca dell’insulto: è sempre esistita e sempre esisterà, certamente vivificata dal miracolo digitale lei che un tempo stava confinata sui muri dei cessi. La preoccupazione (molto più di una semplice preoccupazione) nasce dal fatto che al cazzeggio mediatico per nulla ilare si abbandonino anche persone di norma e consuetudine avveduta; e dalle loro parole traspare livore, rabbia, rancore. Non si crede più a nulla e a nessuno: non si salva nessuna fonte, nessun emittente, nessuna documentazione. Chiunque prende posizione, esprime un’opinione, emette una sentenza, a proposito di qualsiasi tema, argomento, fatto o problema. Le stesse persone che nella “vita civile” nella stragrande maggioranza dei casi vivono (o sembrano vivere) sensatamente. Attraversano col verde. Raccolgono la cacca del loro cagnolino. Vaccinano i figli. E nello sventurato caso di doversene servire, accettano di buon grado anche la chemioterapia.

Mi domando se questo slittamento, questo livore digitale che esprime innanzitutto uno spaventoso malessere politico, sia lo spirito del tempo. E’ questa la malattia in aggiunta alle molte altre (nazionalismo, razzismo, sessismo) che il secolo scorso – il maledetto Novecento – ci ha lasciato in eredità. Il male di non credere più a niente potenziato da quello che il mondo Medievale considerava il peccato spirituale in assoluto: l’accidia; quell’avversione al fare, al documentarsi, allo studiare che invece porterebbe con poco sforzo e in pochissimo tempo a chiarire e a risolvere: Cesare non morì di raffreddore, Sant’Agostino era di pelle piuttosto scura, Hitler nacque in Austria, la pizza l’hanno inventata a Napoli e non a Cincinnati…

Se alla fine dell’Ottocento era Dio che moriva, la fine del Novecento sancisce la morte dell’Autorità. Non si fraintenda, non è un gioioso lascito sessantottino, purtroppo è il trionfo della banalità, la festa della cuccagna che alla scienza del dubbio ha sostituito la religione del complotto, del “chi ci sta dietro”, la fabbrica quotidiana di nuovi eroi e nuovi miti destinati inevitabilmente a deludere.

PS (“Chi è orbo surdo e taci campa cent’anni in paci” recita un noto proverbio mafioso. Almeno sino a quando la casa non ti cade sulla capa. Era ciò che maldestramente cercavano di dire le sfortunate vignette francesi. E’ ciò che accade – non vedo, non sento, non parlo – ogni giorno in almeno tre popolose regioni italiane)