L’ex-corta che mi somiglia non è d’accordo. D’altra parte lei si occupa di storia della letteratura da professionista. Prevedibile che il Nobel a uno che scrive canzoni non le andasse giù. “Sono una conservatrice lo sai”, mi whatsappa scherzando ma non troppo. Ma stavolta i vecchioni scandinavi l’hanno fatta grossa: il tema è (finalmente) interessante e pure assai scivoloso; giusto oggi ho postato un commento su Facebook cannando la motivazione data da Stoccolma (“ha creato una nuova poetica espressiva all’interno della grande tradizione canora americana” pare sia quella giusta) subito affettuosamente redarguito per l’inesattezza della mia affermazione.
La domanda che a questo punto mi frulla nella testa sono ben due: cos’è la letteratura e, assai meno rilevante, cos’è un Nobel (per la Letteratura). Sulla prima, ho due o tre idee che largo circa hanno a che fare con la dialettica universale-individuale e equilibrio-dissoluzione (dell’equilibrio); ovviamente trattandosi di un territorio pericoloso come quello di Boko Haram, mi guardo bene dal tentare un approfondimento.
La seconda è talmente facile che probabilmente la sanno quasi tutti: i vecchioni di Stoccolma non hanno la più pallida idea della letteratura contemporanea, sicché compiono scelte dettate da criteri politici (o para-politici) antipatie di bottega e camarille che più elegantemente vanno sotto il nome di lobbying (alcune pure positive eh). Col risultato che di norma premiano a membro di segugio confondendo il giornalismo con la narrativa e la sofferenza (personale o collettiva) con la scrittura. Il risultato, stucchevole da ricordare, è Borges morto senza il becco di un riconoscimento, cosa che purtroppo accadrà anche al (grande) Roth.
E’ importante che Roth o De Lillo ricevano in Nobel? Con tutto il rispetto e la riconoscenza possibili, la cosa mi lascia indifferente. Sono certo siano entrambi sufficientemente consapevoli del loro talento, e comunque del loro ego non può fregarmene di meno. Altra cosa è invece il ruolo (e quindi) il significato che il Nobel ha o dovrebbe avere. Fateci caso, i premi che suscitano polemiche e discussioni sono i soli che noi comuni mortali siamo in qualche modo in grado di comprendere: pace e letteratura. Non si sono mai sentiti alzarsi grida di protesta per un premiato in chimica, fisica o medicina. Anche se è indubbio che all’interno delle consorterie se ne dicano di ogni, come è umano e inevitabile che sia.
Ma il Nobel per la pace a un guerrafondaio con le mani fresche di sangue colpisce l’attenzione di molti; esattamente come un premio a uno scrittore insignificante e banale (ma politicamente correttissimo).
Venendo a lui, a Robert Zimmermann in arte Dylan, che altro dire che non sia già stato bene o male detto in questi due ultimi giorni? Persino che ora il premio dovrebbero darlo anche De Gregori (giuro: l’ho letto su Faccialibro!) e questo credo basti e avanzi.
Al di là dei pro e dei contro e persino del giudizio severo della mia diletta ex-corta, una cosa mi rende lieto, anzi due: in un modo o nell’altro finalmente si parla (e si straparla) di cose che si leggono; si è contestualmente ridotto lo spazio mediatico dedicato al mefitico referendum. Durerà poco, lo so. Ma intanto grazie Bob anche per questo.