Leggo oggi su “Repubblica” che Roberto Cenati, presidente dell’Anpi provinciale di Milano, ha annunciato le sue dimissioni. Non ho la più pallida idea di chi sia Roberto Cenati, nel senso che le sue scelte politiche mi sono perfettamente sconosciute. Condivido tuttavia sino all’ultima sillaba affermazioni come questa: “Il mio problema fondamentale è che non sono più d’accordo con linea di Anpi nazionale, mi dimetto sia dalla presidenza di Anpi Milano sia dal comitato antifascista, perché non mi riconoscono in questioni fondamentali, tra cui l’uso della parola ‘genocidio’ per quanto riguarda il popolo palestinese. Il 9 marzo Cgil e Anpi nazionale hanno convocato una manifestazione nazionale a Roma con lo slogan “impedire il genocidio”. Un termine che ha un significato ben preciso, dato che si intende sterminio pianificato a tavolino di un intero popolo. Cosa che non si può dire che Israele stia facendo, pur nella pesante reazione che sta avendo al pogrom del 7 ottobre, con le gravissime perdite quotidiane di vite tra la popolazione civile della Striscia. Una strage, ma non un genocidio”.
Da lunga pezza l’Anpi non è più l’“Associazione Nazionale Partigiani d’Italia”. Con la dissoluzione del PCI e spariti per banali ragioni anagrafiche gli ultimi partigiani combattenti, l’Anpi è stata occupata manu militari dai così detti centri sociali e dai corpi residuali della sinistra extraparlamentare. Le conseguenze? Oltre agli sputi rituali alla Brigata Ebraica ogni 25 Aprile e l’apologia pacifinta per cui aggressore e aggredito sono posti sullo stesso piano, viene potentemente rafforzata la sciagurata menzogna per cui l’antifascismo sarebbe naturaliter anche filo-comunista. Ammesso che la parola “comunista” abbia oggi ancora qualche significato.
Così, anche la fine ingloriosa dell’Anpi è il corollario della patologia che affligge le forze popolari e di progresso nel nostro paese: il massimalismo qualunquista venato da anti-americanesimo a priori. Data l’ormai secolare durata del morbo, di malattia senile si tratta. E in quanto tale temo incurabile.