Si stava mettendo davvero male. Quella sorta di unanimismo della solidarietà che si era creato attorno a Charlie Hebdo aveva accomunato “tutte le persone di tutto il mondo” in modo indiscriminato e senza distinzioni. Come un cibo affatturato dal sapore dolciastro e farlocco. Inevitabile quando le emozioni sono, almeno apparentemente, formidabili.
Ovviamente non era e non poteva essere così. Siamo tutti Charlie Hebdo suonava strano (suona strano) perchè posticcio. Come ha mirabilmente spiegato Michele Serra, la satira non può essere “universale”, sennò non è più satira. Mentre la comicità può (e deve) essere compresa anche da un bambino un po’ scemo (Serra faceva l’esempio delle comiche di Stanlio e Ollio), la satira non solo segmenta per età e cultura, ma soprattutto richiede un accurato lavoro di decostruzione e contestualizzazione.
Il comico è pop, la satira è aristò. Se il comico è Masscult per riprendere la felice definizione di Dwight Macdonald o, peggio, Midcult (ovvero la “cultura media” che elabora prodotti d’intrattenimento fondamentalmente Kitsch prendendo in prestito gli stilemi dell’avanguardia; secondo MacDonald, esempi di Midcult sono Rostand, l’ultimo Hemingway, Thorton Wilder…) la satira non può che essere o cultura alta oppure, come nel caso del Vernacoliere, cultura popolare nel senso più nobile del termine, quello per intenderci di Antonio Gramsci.
La satira è cattiva, graffiante, sgraziata. Maleducata, volgare, blasfema. Può piacere o disgustare, ma richiede – sempre – conoscenza delle cose, dei fatti, delle dichiarazioni. Chi non legge i giornali rischia di non comprendere una vignetta, anche quelle geniali e costumatissime di Altan, per fare un esempio; una vignetta quando funziona è un editoriale visivo che arriva dritto in pancia e in testa come un sorso di liquore forte.
La satira richiede erudizione e libertà di pensiero. Se sono ignorante, se sono un credente un po’ bigotto, oppure un funzionario sciocchino del PCI negli anni ’50, è ovvio che non capirò/non gradirò una beata mazza. La comicità è uno che inciampa, cade e si spiaccica sulla faccia la torta che stava portando in tavola. Stop. La satira è una cosa spesso cattiva (ma non necessariamente) che mette a nudo le falsità del potere, le ipocrisie dei potenti, le meschinità dei celebri che se la tirano, che fingono, che posano: Depardieu che chiede la cittadinanza russa per non pagare le tasse, gli snobismi scemi della Carlà Bruni in Sarkozy, Hollande col casco in testa e il pisello (piccolo) fuori dalla patta… La satira quando funziona fa ridere svelando una verità. La comicità fa ridere (se fa ridere) e basta.
Tornando al gravissimo rischio che stava correndo Charlie – ma quant’è buono, ma quant’è bello il catarro del cammello! – grazie al cielo, è il caso di dirlo, è arrivato il selfie di Francesco. Dall’alto dei cieli in volo verso le Filippine, il Papa ha dichiarato che – certo – non si ammazza in nome di Dio. Ma se uno offende la mamma (la sua, la nostra, entrambe?) è lecito che si attenda un pugno.
La mamma, la più grande istituzione che la cultura giudaico-cristiana abbia mai creato. Toccami tutto, ragazzo latino, ma la mamma, la mamma no!
Così Francesco, comunicatore pop che neanche Matteo Salvini, in un colpo compie ben tre miracoli: attualizza il Vangelo (l’altra guancia da porgere sparita) salva l’onore dei vignettisti e crea una nuova categoria del genere “se la sono cercata”.
Se ammazzarli è troppo, diciamo che un sacco di legnate i Charlie anarco-libertini se le meritavano?