L’inverno del nostro scontento

By on Mar 1, 2016 in Comunicazione, Contemporaneità

Quando leggo di Stefan Zweig o del suo amico Joseph Roth, il vero grande scrittore fra i due, della loro fine: il primo trovato suicida in un letto in uno sperduto paesino brasiliano insieme alla (seconda? terza?) giovane moglie; il secondo ammazzato nel ’39 dalla pluriennale dieta alcolica; quando penso all’ancora più grande Walter Benjamin, e alla sua e loro incapacità di sopravvivere alla caduta del mondo come lo avevano conosciuto, il mondo di ieri come scriveva Zweig, il mondo ucciso dalla prima guerra mondiale e poi dal trattato di Versailles; dalla crisi del ’29 e dall’iper-inflazione; e infine dal trionfo dei totalitarismi. Zweig, Roth e Benjamin erano, tanto per cambiare, non solo intellettuali ma pure ebrei, e la cosa non aiutava in quegli anni.

Quando penso al passato e alle grandi cesure che segnano la fine di qualcosa e l’inizio di qualcos’altro (che però ancora non si sa cos’è e neppure cosa potrà essere) non posso non pensare con timore al nostro oggi e alla grande fatica che ci verrà chiesta; mi imito alla “fatica”, ché ho paura di pensare e scrivere qualcos’altro. All’impegno di discernere, di distinguere e di comprendere in modo sensato, adulto e razionale, senza che la razionalità ci faccia perdere la tenerezza verso le cose e verso (soprattutto) le cose degli umani.

Un nuovo mondo dove i nuovi ebrei spingono alle frontiere dell’Europa che tale più non è, chiedendo lo stesso asilo che gli ebrei chiesero inutilmente nel ’39; dove torme di “uomini soli” provenienti dalle terre dell’Islam abitano le nostre periferie senza integrazione e senza speranza; un mondo dove il sogno del multiculturalismo (quanto infantile? quanto stupido? quanto frutto dei sensi di colpa dell’uomo bianco?) è naufragato miseramente.

C’è bisogno di distinguere, di comprendere le cose, prima di assumere una decisione. Dagli uteri in affitto al nuovo ordine mondiale; dalla libertà del singolo alla sostenibilità di tutta la baracca che chiamiamo Terra: cosa è giusto, cosa non lo è, per chi e come. Ma distinguere è un esercizio sempre più difficile nel nuovo mondo McDonald, la terra promessa dove pareva avesse definitivamente trionfato la legge del profitto e della crescita per tutti; ci sarebbe bisogno di un contraltare di pensiero, di spiritualità autentica da opporre alla modesta logica del denaro e del potere. Ne abbiamo un bisogno enorme, direi infinito se ciò non suonasse sarcastico rispetto alle merci dei mercanti di fede.

Purtroppo i depositari dello spirito – quelli che dovrebbero occuparsi “dell’esattezza e dell’anima”, come scriveva Musil nella parodia del suo mondo sparito per sempre – abitano solo le terre del fondamentalismo, le regioni infuocate dove il peccato diventa reato. Di norma anziani uomini soli addobbati come Babbi Natale, senza affetti né famiglia, febbrilmente occupati a frugare nelle nostre mutande e a sancire il colore delle nostre lenzuola. Miseria della filosofia o filosofia della miseria? Il mondo così come lo conosciamo ha un bisogno disperato di essere ripensato, riprogettato e rifatto. Ma quale dio o quale titano sarà capace di produrre cotanto pensiero?

 

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