Chiedo scusa, non ce la faccio. E’ più forte di me, devo parlarne. Appartengo alla generazione che ha considerato il voto una festa più che un dovere, anche se il più delle volte dalle urne uscivano topi morti invece che rondini di primavera. Da quando ho avuto l’età, non ho perso un colpo: comunali, provinciali, regionali, politiche, europee. Camera e Senato. Anche per il tinello, decaduta istituzione piccolo borghese, avrei votato se l’avessero messo in lizza. Per non parlare dei referendum e della grande giovanile letizia provata per quello sul divorzio e per la difesa della legge 194 (NON per l’aborto: nessuno sano di mente è “a favore” dell’aborto. Ma chi questa storia non la vuole capire non la capirà mai).
Stavolta ho deciso di non andare a votare. Il 17 aprile non andrò a depositare il mio fazzolettino di carta nella scuola Leonardo da Vinci. Per un semplice, banalissimo motivo: ci sono questioni e scelte che non possono essere affidate all’istituto referendario, abrogativo o propositivo che sia. La loro natura e complessità richiedono una delega. Di norma è così che funziona (o dovrebbe funzionare) la democrazia: alcune questioni vengono delegate a qualcuno eletto per risolverle o tentare di risolverle mediante studio, creazione di commissioni ad hoc, ascolto di esperti etc. etc.
Ci sono questioni su cui sarebbe insensato chiamare i cittadini in età di voto a pronunciarsi. Questioni come la teoria delle stringhe, l’utilità di una missione spaziale su Marte, il metodo stocastico più efficace per valutare la popolazione marina sessualmente attiva, la presenza media di angeli su una capocchia di spillo, l’esistenza dell’anima negli animali superiori, l’idoneità della carne di dinosauro nella preparazione del ragù, non possono essere affrontate da un referendum, abrogativo o affermativo. Così come non ha senso votare Sì piuttosto che No al così detto “referendum sulle trivelle”, problema complicatissimo che copre il vero obiettivo referendario: non già la ricerca di idrocarburi in mare, bensì il Governo Renzi. O meglio il Renzi medesimo. Tra l’altro da parte di una parte del suo stesso partito. Un’aspirazione più che legittima, ma che non è lecito mascherare, e a spese del contribuente oltretutto.
Se siamo arrivati a questo epilogo, quello per cui alcuni milioni di incompetenti assoluti sono chiamati ad esprimersi su una questione di cui non sanno una mazza, è perché ormai non crediamo più a niente. Neppure al Papa, quello di nome Francesco: pare infatti siano parecchi i credenti che lo detestano per via di certe concessioni allo spirito del tempo.
Non credendo più a nulla siamo disposti a credere a tutto: dai vaccini che fanno venire l’autismo (sic), ai laboratori di ricerca che “praticano” la vivisezione; dai migranti che ci attaccherebbero la scabbia, la tbc e pure il malocchio, ai gay che rovinano le famiglie. Per tacere di chi pretende di curare i tumori con l’omeopatia, le scie chiniche e gli OGM cattivi, sino al capolavoro delle Torri Gemelle abbattute dai perfidi ebrei. Con buona pace delle competenze, della conoscenza scientifica, dei saperi. Tanto uno-vale-uno: l’ignorante vale il sapiente, il capace l’inetto, il volenteroso l’imbelle. (A questo proposito, sarei curioso di conoscere chi – sano di mente e malato di cuore – di fronte alla scelta tra un cardiochirurgo autentico e uno diplomato per corrispondenza alla Scuola Radio Elettra affiderebbe i suoi ventricoli al secondo).
Ma la Corte Costituzionale e persino Eziolino Mauro nostro, un tempo lucido e roccioso giornalista, che abbandonata la direzione di Repubblica si va trasformando in adepto del cerchiobottismo di scuola Paolo Mieli, ci dicono che no, riempire l’urna è comunque dovere del cittadino integro, neanche fosse un tagliando ai trigliceridi o il conto dei rifiuti azotati nelle urine.
Per nostra fortuna non siamo del tutto soli di fronte a questa scelta di discontinuità, come si sarebbe elegantemente detto un tempo quando c’erano i partiti, i mulini erano bianchi e il linguaggio era ipocrita ma almeno forbito. Il grande vecchio delle istituzioni, il solo che ci resta, quell’ex-comunista galantuomo che va sotto il nome di Giorgio Napolitano, l’uomo che le istituzioni le ha onorate e servite con sereno sprezzo del pericolo e in barba agli appelli della sua (presumo) vetusta vescica, è l’unico che ancora ricordi come anche Terracini – uno dei padri della Costituzione – già nel lontano ’72 propugnasse l’abolizione del Senato e il conseguente abbandono del bicameralismo perfetto, la formula sapientemente democristiana che permette di consociare tutto e non decidere mai su nulla.
Napolitano ieri ha affermato: “Non andare a votare è un modo di esprimersi sull’inconsistenza dell’iniziativa referendaria”. Inconsistenza, capito? Anche per questo, grazie Giorgio.