Libro vivente

By on Ott 3, 2024 in Letteratura

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Libro bello = film brutto è una proposizione largamente condivisa dal popolo dei lettori, come pure il suo esatto contrario. Nulla di arcano, per carità. Si tratta della difficoltà di realizzare un salto di specie che il più delle volte si rivela semplicemente impossibile. Neppure il grande (grandissimo) Visconti riuscì a mettere in pellicola “Du côté de chez Swann” mentre il miracolo gli riuscì con “Il Gattopardo”. Se invece il testo è men che mediocre, il conflitto tra specie non solo non esiste, ma addirittura la modestia letteraria semplifica la vita dello sceneggiatore ed esalta il talento del regista.

(Certo, è una tesi al pelo dell’aporia: nel caso di “Colazione da Tiffany” è meglio il film o il libro? Prego astenersi fan di Audrey).

E veniamo al pretesto di questa madeleine: Fahrenheit 451. “Edito in Italia anche con il titolo “Gli anni della fenice” è un romanzo di fantascienza del 1953, scritto da Ray Bradbury. Nel 1966 il libro è stato trasposto in un omonimo film per la regia di François Truffaut e in un omonimo film TV nel 2018 per la regia di Ramin Bahrani…Ambientato in un imprecisato futuro vi si descrive una società distopica in cui leggere o possedere libri è considerato un reato, per contrastare il quale è stato istituito un apposito corpo di vigili del fuoco impegnato a bruciare ogni tipo di volume” recita Wikipedia.

Fate attenzione alle date: il libro è del ’53, il film del ’66. Allora come oggi fu ritenuto appartenere al genere distopico. È merce che va forte ultimamente, mentre un tempo era una tecnica narrativa adottata prevalentemente se non esclusivamente dalla fantascienza. La Treccani ne dà come al solito definizione esaustiva e perfetta: “distopìa2 s. f. [comp. di dis-2 e (u)topia]. – Previsione, descrizione o rappresentazione di uno stato di cose futuro, con cui, contrariamente all’utopia e per lo più in aperta polemica con tendenze avvertite nel presente, si prefigurano situazioni, sviluppi, assetti politico-sociali e tecnologici altamente negativi (equivale quindi a utopia negativa): le d. della più recente letteratura fantascientifica.

Un mondo futuro senza libri nel quale i vigili del fuoco hanno l’incarico di bruciare libri che uomini-libro imparano a memoria evitandone la distruzione. Parrebbe una perfetta distopia. Invece è l’ennesimo esempio di come l’arte imiti la realtà. A volte suo malgrado. Pare che gli uomini-libro fossero assai popolari nell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, l’impero russo che non era unito né socialista e neppure sovietico. Lo sappiamo anche grazie a Nadežda Jakovlevna Mandel’štam, la donna che divenne un libro vivente per salvare l’opera del marito. L’ho raccontato tempo fa in un’altra madeleine.

Nadežda, la meravigliosa moglie di Osip Mandel’štam il più grande poeta russo, è autrice di un memoir non so se più terrificante o sbalorditivo per la qualità della scrittura. Racconta la miserrima vita materiale a cui era destinato chiunque conservasse dignità di sé nella Russia staliniana. Costretto al confino e poi ucciso in un gulag ai confini dell’Impero il marito, raminga ed esule nel suo paese Nadežda impara a memoria le poesie del marito nel timore (nella certezza) che ogni documento cartaceo verrebbe (verrà) distrutto. La stessa sorte che tocca ad Anna Achmatova, solidissima amica di tutta una vita. L’unica soluzione all’oblio è imparare a memoria ogni poesia.

Delle vicende di Osip e Nadežda Mandel’štam, della tragedia russa, dell’infinita fedeltà di Nadežda all’opera del marito, parla con parole che paiono scolpite nella pietra Iosif Brodskij, l’uomo che – immagino con involontaria ironia – Google definisce “Poeta statunitense”. Le pagine loro dedicate sono contenute nel volume di saggi “Fuga da Bisanzio”. Sia che narri della sua città, Pietroburgo, o spieghi in modo magistrale perché Mandel’štam è un genio della prosodia e della parola, Brodskij è la conferma, se mai ce ne fosse bisogno, che i grandi poeti sono sempre e innanzitutto grandi pensatori.

PS

Le opere di Nadežda Jakovlevna Mandel’štam (“Speranza senza speranza” e “Speranza abbandonata”) sono pubblicate da Edizioni Settecolori. Scordavo. Nadežda in russo significa “speranza”.