Vivo di parole. In senso letterale. Un tempo bastava dire copywriter, parola la cui pericolosa assonanza con copriwater mi ha convinto a presentarmi dicendo un più semplice: “buongiorno, sono quello che scrive”, mentre oggi è di rigore dichiararsi content creator. L’ho fatto anche io nel mio (inutile) profilo Linkedin che da quando esiste (nel senso da quando esisto io nel suo archivio) avrò fatturato 100 euro. Come se i contenuti potessero essere creati, “ma va là” come diceva l’avvocato Ghedini, perfido quanto bravo e pertanto perfidissimo. Fine della premessa
Vivendo di parole, mi hanno molto colpito i nuovi nomi scelti dal nuovo governo per nominare in modo nuovo ministeri comunque vecchi. Non per le ragioni che, a torto o a ragione (più probabilmente la seconda) infiamma e indigna (indigna e infiamma) amici e conoscenti sui social e non. Ma per una singolare identità. “Destra e sinistra per me pari sono” e “destra e sinistra non esistono più” sono le due frasi tipiche che svelano un’appartenenza alla riva destra, proprio come la codina serpeggiante denuncia la presenza del topo nel formaggio. Destra e sinistra possono cambiare nome ma non cambiare postura; possono deludere, avvilire, irritare. Financo pure disgustare; possiamo chiamare gli uni conservatori e gli altri progressisti; potranno avere torto o ragione, ma Ettore sarà sempre Ettore e Achille sempre Achille, così come il Milan non è l’Inter e l’amata Giuve non sarà mai l’orrido Toro.
Destra e sinistra (sinistra e destra) sono lo Yin e lo Yang dell’universo laico. E’ dal loro incontro/scontro che (hegelianamente mi verrebbe da dire) le cose avvengono e la Storia va avanti (o va indietro). Insomma, non solo sono categorie ineludibili: sono pure irrinunciabili se si vuole comprendere la realtà (degli interessi, delle lotte, degli scontri di potere). E’ per questo che mi ha fatto un certo effetto vedere che il governo definito “più a destra nella storia della Repubblica” usi gli stessi artifici retorico-lessicali della sinistra. E quel che è peggio per le stesse motivazioni: negare la realtà.
“Diversamente abile | operatore ecologico | collaboratrice domestica…”. Ricordate? furono le grandi invenzioni lessicali della sinistra, più impegnata a coprire le differenze piuttosto che a colmarle; più preoccupata nel pitturare la realtà piuttosto che lottare per cambiarla. Laddove il cambiamento significa in buona sostanza offrire a tutti (al più grande numero di persone possibile) lo stesso livello di opportunità affinché sia poi il talento a stabilire le differenze. Un’idea di eguaglianza parecchio cara a Norberto Bobbio per comprendere la differenza che corre tra destra e sinistra.
Per me che vivo di parole è stata una grande sorpresa scoprire che anche la destra usa il linguaggio dell’impotenza tipico della povera sinistra. I nuovi ministeri sfoggiano definizioni fantasiose tipo “sovranismo alimentare, istruzione e merito, famiglia e natalità”… sino al meraviglioso “Imprese e made in Italy”, talmente “fatto in Italia” da aver avuto bisogno della lingua inglese quale significante. Quando le parole diventano l’impermeabile che copre le (modeste) nudità del povero maniaco tutto solo nel parco, siamo in presenza di quello che in linguistica si chiama eufemismo e in psicologia rimozione. E poiché il linguaggio è la coscienza stessa, non sarà che questa destra italica e questa asfittica sinistra soffrono della stessa tabe?