“Il lavoro migliore di una vita di ricerca può saltare fuori per caso: lo si incontra su una strada percorsa per andare da un’altra parte. A me è accaduto così. Quello che è ritenuto il mio miglior contributo alla fisica, ovvero la teoria dei vetri di spin, è nato mentre studiavo un problema di particelle elementari”. L’autore di queste parole è Giorgio Parisi, Nobel per la fisica 2021. Le si possono leggere a pagina 54 del suo libro “In un volo di storni. Le meraviglie dei sistemi complessi” (Rizzoli).
E’ una lettura corroborante quella che propone Parisi. Particolarmente di questi tempi. Innanzitutto la sua scrittura è semplice senza essere semplicistica. Quindi si corre il rischio di comprendere ciò di cui parla nonostante le difficoltà intrinseche del tema; in secondo luogo perché questo volumetto stampato su carta di spessore ormai inaudito evita come una visita domenicale all’Ikea côté metafisici e tentazioni spiritualiste. Spiegandoci cosa siano le transizioni di fase e i fenomeni collettivi, Parisi ha il garbo di risparmiarci citazioni dai Ṛgveda o di cercare rifugio nella tradizione filosofica orientale. Ogni riferimento ai pur deliziosi lavori divulgativi di Carlo Rovelli e soprattutto al capostipite del genere, il “Tao della fisica” di Fritjof Capra, è voluto.
La ragione di questo atteggiamento sta nella diffidenza che Parisi nutre riguardo all’uso delle metafore. “La scienza si fonda su prove sperimentali. Sulle dimostrazioni analitiche, sui teoremi. Alla base della costruzione scientifica, però, c’è una grande costellazione di ragionamenti intuitivi. Anche nelle scienze – come nelle arti e in tante altre attività umane – prima viene l’intuizione e dopo si raggiungono le certezze” scrive nel capitolo dedicato agli scambi di metafore tra fisica e biologia. Come sostiene, è ragionevole ritenere che l’uso di metafore svolga un ruolo importante nella formazione del sentire comune. Proprio in ragione di ciò, avverte Parisi, bisogna fare una distinzione netta e chiara tra l’uso della metafora come strumento euristico, ovvero stimolatore del processo di ricerca, e l’uso della metafora e di altre figure retoriche come base del ragionamento. Tentazione che può condurci “all’estremo in cui la logica è sostituita dalla retorica”. Questo secondo modo, la metafora usata come grimaldello per aver ragione e non già per comprendere e scoprire, è ritenuto pernicioso da Parisi: “vengono trasposti in un linguaggio differente concetti che non possono essere tradotti in quel linguaggio, deformandoli senza rendersene conto. Si arriva così a conclusioni del tutto arbitrarie”.
Uno concetti che in questi giorni viene adoperato con spudorata disinvoltura è il sostantivo complessità. Un uso che vede la retorica sostituirsi allegramente alla logica in circostanze che, per quanto variegate, mutevoli e contraddittorie come sempre accade nelle vicende umane, alle persone senzienti e sensate non possono che apparire per quello che sono: eventi chiari e distinti sia sul piano storico che su quello della responsabilità morale.
Eppure la complessità in sé non è necessariamente un valore. Tutto il lavoro di Parisi ha come obiettivo la riduzione della complessità. In proposito scrive: “In fisica e in matematica è impressionante la sproporzione tra lo sforzo per capire una cosa nuova per la prima volta e la semplicità e la naturalezza del risultato una volta che i vari passaggi sono stati compiuti. Nel prodotto finito, nelle scienze come in poesia, non c’è traccia della fatica del processo creativo e dei dubbi e delle esitazioni che lo accompagnano”. La scienza secondo Parisi lavora per ridurre (ove e quanto sia possibile) la complessità. Parisi lo fa studiando il volo degli stormi nel cielo di Roma così come studia i vetri di spin, leghe metalliche che prendono questo nome perché le loro transizioni di fase magnetica si comportano come le transizioni di fase del vetro.
La semplicità raggiunta con la fatica della ricerca è dunque il più nobile degli obiettivi. “Chi sa di essere profondo si sforza di essere chiaro” è un aforisma di Nietzsche, pensatore che al contrario di Parisi non sempre riesce nell’impresa. In una delle ultime pagine di “In un volo di stormi” l’autore cita R. Feynman, un colosso della fisica novecentesca: “La scienza è come il sesso, ha anche delle conseguenze pratiche, ma non è questo il motivo per cui la facciamo”. Il motivo per cui i “retori della complessità” puntualmente spuntino come funghi nel corso delle transizioni più tragiche, resta un mistero. Oltretutto non sono neppure divertenti.