Non volevo parlarne. Ma il catenaccio di Repubblica è irresistibile: “Morto a 93 anni il geniale inventore del commissario da 30 milioni di copie”. Inevitabile pensare all’Ulrich de “L’uomo senza qualità” messo in crisi dal pugile e ancor più dal cavallo che rispettivamente avevano chi combattuto e chi corso “genialmente”.
Lungi da me pensare che l’avverbio non si attagli all’opera di Camilleri (in realtà lo penso eccome, ma è un’altra storia). Il disturbo me lo dà il legame logico proposto esplicitamente dal titolista: poiché ha venduto 30 milioni copie, non può che essere geniale. È una logica perfetta, indiscutibile. Ma perfetta per ragionare come il Cav. Berlusconi di ascolti sulle sue tv negli anni d’oro. Perfetta per definire il formaggio Philadelphia una squisitezza, una bontà: un prodotto “geniale”, un capolavoro di marketing; è consumato ogni anno da milioni di persone nel mondo, e il consumatore non può sbagliare. La quantità determina la qualità, certo. Ma solo nel mondo della natura come sosteneva il vecchio Engles e in quello dell’industria e dei commerci. La quantità di applausi ricevuti rende popolari, non necessariamente grandi. E questo a ben vedere è il tema centrale dei nostri dolorossimi giorni.
Terreno scivoloso. E sgradevole. Perché Camilleri era (è) una persona benvoluta, un uomo dalla schiena dritta, uno scrittore di talento amato da milioni di persone che, attenzione, molto difficilmente avrebbero letto “altro”. Di certo non il povero Musi, autore assai attardato nella hit-parade della letteratura novecentesca inventore del povero Ulrich di qui sopra.
Ieri, oggi e certamente ancora domani e dopo domani centinaia, migliaia, di persone coccodrilleggeranno sugli spazi terribili e meravigliosi che il digitale ha concesso a loro, a me, a noi. E parleranno di Andrea Camilleri come si parla di un parente, un familiare, un amico. Una persona cara che ha donato loro il bene più prezioso che esista: un po’ di compagnia, un po’ di conforto contro la noia e la solitudine. Un rosolio, giusto per restare in tema regionale. Un confetto di Sulmona. Un arancino fragrante. Preziosissimo. Degnissimo. Ma ahimè, non avrei mai voluto scriverlo, distante mille e mille miglia da quella cosa che si chiama “letteratura”.
Con il rispetto e la gratitudine che nutro per chiunque legga (l’uomo che legge non può essere del tutto malvagio) con il rispetto e l’ammirazione che nutro per le persone probe e di indiscusso talento, sommessamente mi permetto di ricordare che l’intrattenimento, come la buona compagnia, appartengono alle opere della misericordia. Quasi mai al mondo dell’arte.