Tanto tempo fa dalle parti del naviglio pavese sorgeva la sede di un’azienda proprietaria di marchi prestigiosi. Ma che dico prestigiosi, prestigiosissimi. Il più noto, celebre anzi celeberrimo, era il dado per brodo editato, è il caso di dirlo anche se allora non si sarebbe mai detto, nelle sue enne varianti di forma e ricettazione. Il suo nome era quello di un grande chimico tedesco al quale si devono un gran numero di scoperte nell’ambito della biochimica e della chimica per l’agricoltura.
Correvano i ruggenti anni ’80. Gli anni della “Milano da bere”, del referendum per l’abolizione della scala mobile, dell’inflazione a due cifre, dell’esplosione del deficit pubblico, dei cortei monopolizzati dai duri e puri. Dimenticavo: furono anche se non soprattutto gli anni delle stragi e degli ammazzamenti a scopo “politico” come si diceva allora.
Se fosse stata una persona sarebbe stata molto simile ad una di quelle vecchie zie che non mancano in nessuna famiglia, troppo anziane per nutrire desideri, ma sufficientemente dotate di memoria per ricordare con stizza e disappunto l’età in cui ne avevano avuti di desideri, e magari non del tutto confessabili.
Come una signorina di buona famiglia invecchiata anzitempo, non si rassegnava al ruolo che le era proprio; non riusciva ad accettare la parte di decorosa comparsa al quale i tempi – quanto radicalmente mutati – l’avevano consegnata. No, la piccola vecchia signora insisteva nell’atteggiarsi alla moda, scimmiottando nelle posture le più attraenti, performanti e – vivaddio – adeguate antagoniste.
Tirava a campare tra le sue vecchie cose di pessimo gusto – etichette e pack più tristi di un bambino senza doni a Natale, iniziative promozionali che neanche una casalinga del Montenegro – spacciando l’impotenza per garbo e la neghittosità per composta eleganza, sospirando (e forse ci credeva davvero) il ritorno di un antico spasimante che l’avrebbe sostenuta e promossa e finalmente rivalutata agli occhi del mondo. Sino a quando decise – gesto dettato dalla disperazione – di concedersi un’ultima puntata al casinò dei consumi impegnando per intero l’argenteria di famiglia sacrificando un patrimonio destinato a rivelarsi palesemente insufficiente.
Puntò sulla televisione, anzi: sulle televisioni, erano gli anni in cui l’homo berlusconensis furoreggiava con programmi che ai più apparivano modernissimi. Era inevitabile e sacrosanto: se non stavi dentro l’elettrodomestico eri un cadavere e magari neppure caldo. Purtroppo, com’era prevedibile, commise l’errore di presentarsi in quell’agone indossando i panni e le posture del secolo scorso. Avrebbe potuto essere antica, nobile e rassicurante come il suo passato. Invece, come la giacca maròn del povero Occhetto, inadeguata e fuori dal tempo, finì col risultare solo ridicola, tragicamente ridicola. Fu l’inizio della fine della vecchia signora signora divenuta vecchia prim’ancora di essere anziana. Sparì come spariscono i prodotti privati dell’anima, svuotati come la cuticola del bruco che si trasforma in farfalla dall’incapacità dei brand che li sostanziano di dar loro il nutrimento capace di arrestare la violenza del tempo.
Il buon vecchio PD mi ricorda oggi la vecchia zitella d’antico lignaggio che un tempo abitava dalle parti del naviglio pavese. Lei perse il primato nel mercato del brodo, lui milioni di voti. C’è chi muore strillando e chi, composto come un gatto di marmo, non emette neppure un sussulto, un gemito, un’imprecazione. Noblesse oblige.