La trama del nostro modo di stare al mondo

By on Feb 28, 2025 in Filosofia

cambiare

“L’errore non si propaga, non si amplia, non vive che a una condizione: trovare nella società in cui si diffonde un terreno di cultura favorevole… una falsa notizia nasce sempre da rappresentazioni collettive che preesistono alla sua nascita” (Marc Bloch).

Questa citazione conclude il breve capitolo introduttivo di “Cambiare la storia. Falsi, apocrifi, complotti” (Adriano Prosperi, Einaudi). È forse l’affermazione più importante contenuta in questo lavoro; senza dubbio riguarda noi tutti.

Il lavoro di Prosperi prende avvio da una domanda retorica: la storia è modificabile? Nonostante si sappia sin dai tempi di Aristotele che è un non senso (“nessuno può scegliere di aver saccheggiato Troia”) così come non è il caso di perdere tempo sull’eterno ritorno dell’eguale di nietzschiana memoria, stando alla Cancel culture parrebbe che sì: eliminare ciò che non ci garba, ripulire la storia dagli eventi che ci causano imbarazzo e vergogna, è diventata una prassi. Partendo da questa nuova tecnica per migliorare l’idea che abbiamo di noi stessi e di liberare dai sensi di colpa l’uomo bianco occidentale il cui benessere e privilegio è frutto di secoli criminosi, Prosperi prende in esame il metodo tradizionale inventato dall’umanità per mutare la percezione della storia: la fabbrica dei falsi.

Prosperi prende in esame quattro casi di falsificazione. Partendo dalla celeberrima donazione di Costantino che così efficacemente ha legato le vicende dell’Italia a quelle della Chiesa, giunge sino ai “Protocolli dei savi anziani di Sion”, il classico della letteratura fognaria, documento più falso di uno sputo di plastica e tuttavia ancora perfettamente diffuso e operante. Per quanto mirabilmente descritti, questa madeleine non riguarda nessuno dei “quattro falsi”. È la “Premessa” di Prosperi (giustamente sottotitolata “La verità e il falso”) quella che mi ha riempito di entusiasmo.

In una decina di paginette (se fossi l’illiberale Direttore Generale delle Terre Emerse le imporrei quale lettura obbligatoria) Adriano Prosperi fa il sunto di duemila anni di tradizione storiografica. Mi rileggo e mi accorgo che detto così non solo non è chiaro, ma non è neppure coinvolgente. Riformulo: in dieci paginette scarse Prosperi riassume la storia della storiografia e dei principi di chi fa storia: dal dubbio pirroniano che aveva nutrito il genio di Montagne, al principio per cui “lo storico è un cavaliere che si è votato al servizio di una dama speciale, la verità”, dai tentativi di mettere la Storia (con l’esse maiuscola) al servizio della nazione, sino alle conquiste della storiografia classica tedesca, ovvero raccontare le cose come si erano realmente svolte. Regola aurea che pareva destinata a durare per sempre sino a quando un giovane storico di genio, Marc Bloch per l’appunto, studiando i racconti dei soldati francesi nelle trincee della prima guerra mondiale scopre che “il falso può nascere come produzione autonoma da un contesto predisposto a produrlo”. Conquista che ha consentito agli storici di comprendere come il falso e il vero vivano intrecciati.

Il mestiere di storici, ha scritto Carlo Ginzburg, è “qualcosa che è parte della vita di tutti: districare l’intreccio di vero, falso e finto che è la trama del nostro stare al mondo”. La domanda delle cento pistole è dunque questa: quanta sagacia e maestria sono necessarie per riconoscere una falsa narrazione, un artefatto che unisce sapientemente pizzichi di verità a manate di menzogna?

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