Considero il perdonismo una delle più perniciose malattie senili della nostra società. Si perdona quando non ci si può più vendicare; si perdona per mutualità, ovvero per meglio continuare a trasgredire certi del perdono altrui; si perdona per ipocrisia, laissez-faire, menefreghismo, indifferenza, quieto vivere. (Come insegna il senatore Razzi, farsi i “membri propri”, non giudicare, è una scelta di “civiltà”: la miglior premessa al perdonismo).
Il perdonismo come il buonismo non ha nulla a che fare col perdono e con la bontà perchè nega (cancella, rimuove, abbuona) insieme alla colpa anche la responsabilità. Cosa quest’ultima che non può essere cancellata neppure se la si gettasse in un buco nero di Hawkings (a proposito, aveva ragione, i buchi neri esistono). Non c’è perdono autentico – e quindi neppure bontà – senza assunzione piena delle proprie e altrui responsabilità.
A questo mi ha fatto pensare la straordinaria e commovente storia che ho letto dieci minuti fa qui. E’ la testimonianza di una donna di 81 anni. Si chiama Eva Mozes Kor. Ha voluto stringere la mano a Oskar Groening, un uomo di 93 anni che lavorava al campo di concentramento di Auschwitz, oggi alla sbarra accusato di aver concorso alla strage di 300.000 persone.
Le parole sul perdono di Eva Kor (Eva come la prima donna) sono illuminanti. Vi consiglio di leggerle.