Amsterdam, Olanda: il politicamente corretto in gita al museo
Martine Gosselink è a capo di un progetto innovativo. Il suo compito è guidare la modificazione dei termini ritenuti offensivi dalle opere esposte al Rijksmuseum di Amsterdam, un bruscoletto di museo da 2,5 milioni di visitatori l’anno grazie al dovizioso patrimonio di Rembrandt e Vermeer. Termini come negro e nano devono essere quindi espunti, come pure indiani se riferito ai nativi americani. E pazienza se di negri, nani e indiani si tratta. La “Giovinetta negra”, titolo originale, è quindi diventata “Giovane donna con ventaglio (nel quadro effettivamente la ragazza diversamente abbronzata come direbbe l’ex cavaliere Berlusconi ha tra le mani l’attrezzo refrigerante). Domanda delle 100 ghinee: come riconvertirebbe la signora Gosselink il “Doppio ritratto del nano Morgante” del Bronzino? Interpellato in merito il direttore degli Uffizi Eike Schmidt dichiara: “Proprio la volontà di esporre le opere con i nomi storici… ricorda a tutti l’inferiorità e la sofferenza di queste persone nei secoli passati, inducendoci a… portare avanti la necessità dell’integrazione di ogni individuo, con le proprie abilità e disabilità, nella società”.
Durham, Carolina del Nord: i nani menzogneri
Sempre a proposito di diversamente alti, si segnala lo studio della pur prestigiosa Duke University riportato dal Daily Mail di Londra. Riguardo al film “Biancaneve e i sette nani” della Walt Disney, gli studiosi della Duke accusano la pellicola di ingannare i bambini. Il film è infatti accusato di “fornire una visione zuccherosa, artificiale e ipocrita dei mestieri più umili, e in generale dà un’immagine distorta della povertà e delle differenze di classe”. Quei tardo-marxisti probabilmente pure inconsapevoli della Duke infatti si domandano “Avete mai visto dei minatori entrare in miniera fischiettando e cantando allegramente, come se fosse la cosa più bella del mondo?”. E segnalano stupefatti che “Perfino Brontolo appare troppo felice di lavorare in miniera“. (Peccato si scordino di Cucciolo, palese esempio di sfruttamento del lavoro minorile…)
Bologna, Italia: taci guerrafondaio!
Qui la storia si fa un po’ più spessa ché il cretinismo si fa violento. Eppure la fine (delle precedenti puntate di violenza) dovrebbe esser nota, come dovremmo aver imparato dagli anni ’70. E’ successo all’Università di Bologna, dove alcuni studenti hanno interrotto le lezioni di Panebianco, colpevole di scrivere sul Corriere della Sera cose che non garbavano loro.
La buona notizia è che c’è ancora qualcuno convinto del ruolo della carta stampata. La brutta è che dall’impedire di fare lezione alla P38 il passo è breve. Premesso che non amo particolarmente il professor Panebianco, per non parlare del Corrierone, dovrebbe essere evidente che le posizioni politiche (le posizioni ideologiche, filosofiche, storiografiche, etnografiche, ambientali, alimentari, sessuali e persino calcistiche) si combattono a suon di argomenti, non con l’impedimento fisico. La violenza è sempre l’ultima risorsa del cretino, come insegna Isaac Asimov ne “La trilogia dello spazio”.
Ma la cosa più triste è che i cretini di Bologna soffrono di cretinismo al quadrato: nell’epoca del 2.0 contestare (protestare, indignarsi, ribellarsi, incazzarsi) richiede necessariamente un alto livello di originalità. Un pensiero, un’idea inattesa e gentile, un qualcosa di nuovo e di sorprendente; una strategia allegra e beffarda capace magari di diventare virale; non la copia sbiadita delle recite orchestrate dai padri nei ruggenti Sessanta. Altrimenti è solo una pippa, vecchia e per di più ricicciata.