Avere trent’anni e vivere a Berlino. E’ il tema di cui si occuperà con cadenza variabile Giulio Gherardi, il nostro corrispondente da Berlino
37 paesi per un’azienda
“110 dipendenti da 37 paesi che parlano 34 lingue diverse” sciorina felice il capo del personale (finlandese) dell’azienda di Berlino dove mi ha recentemente portato l’ultima svolta del mio personale viaggio verso l’età pensionabile. In effetti ha le sue brave ragioni per essere felice. La start-up che ha contribuito a fondare negli ultimi anni è cresciuta rapidamente ed è diventata una solida azienda con fatturato a molti zeri e rosee prospettive per un’ulteriore crescita.
Questo tipo di azienda, una multinazionale rispetto ai dipendenti e non alle sedi in cui è dislocata non è una rarità: guardando tra gli annunci di lavoro si trovano dozzine di “giovani aziende dinamiche con ambiente internazionale” che cercano figure qualificate. È sempre richiesta un’ottima conoscenza dell’inglese; se poi sapete anche il tedesco meglio, ma la lingua locale serve soprattutto per ordinare da bere alle cene aziendali. A farla da padrone in questo campo è come prevedibile il mondo del IT, in cui l’inglese è la lingua naturale (solo i francesi ancora resistono collegando il souris a l’ordinateur ma anche loro iniziano a perdere colpi con le traduzioni) le aziende di marketing, e, più in generale, di servizi che seguono a ruota.
Gli stipendi a Berlino sono bassi rispetto a Monaco, Francoforte o Amburgo e i tedeschi con buoni titoli di studio non si spostano poi così volentieri nella capitale. D’altro canto, grazie a un ottimo rapporto tra stipendio e affitto, scegliendo bene si può stare attorno al 10% (pura fantascienza per la mia natia Milano) e grazie alla fama di città dove non ci si annoia mai, Berlino è una meta ambita per i giovani di mezzo mondo. Le aziende della capitale lo sanno bene, e da circa cinque anni hanno cominciato a darsi da fare per accogliere, e sempre di più attrarre, questa riserva di know-how.
Oltre ad un ambiente giovane – gli anta si contano sulle dita di una mano – e informale queste aziende offrono ai giovani espatriati tutta una serie di extra; si inizia la settimana con la colazione in comune offerta dall’azienda il lunedì mattina, si continua con le classi di tedesco in ufficio il mercoledì, per finire il venerdì con l’immancabile aperitivo ‘social’, l’occasione per il programmatore serbo, la marketer cinese e l’economista olandese di scambiarsi pareri e suggerimenti sulla città e, perché no, di organizzare qualcosa insieme per il weekend.
Queste aziende diventano così una meta professionale e anche un aggregatore sociale per un interessante tipo di emigranti “per scelta”, che vengono in parte dalle classiche nazioni che da anni forniscono manodopera alla ricca Germania ma anche da paesi in cui di ‘fuga dei cervelli’ non si parla proprio. Finlandia, Norvegia Svezia, Giappone, USA e Australia sono tutte ben rappresentate per le vie di Mitte, Kreuzberg e Prenzlauer Berg, si tratta in grande parte di trentenni, con qualche fuori-quota, tutti laureati e non più alla prima esperienza di lavoro che decidono di andare a lavorare all’estero semplicemente perché ne hanno voglia.
Così a trenta e passa anni si trovano a dividere un appartamento con uno sconosciuto di un altro paese, studiano una lingua e vanno a feste dove non conoscono (ancora) nessuno, vivendo un po’ come studenti in trasferta… con l’unica significativa differenza che la mattina si va tutti in ufficio.
Una specie di secondo Erasmus, ben retribuito, per una generazione che, come ci ripetono fino alla nausea le rubriche di sociologia sui giornali, non vuole crescere. O che, forse, ha semplicemente un’idea diversa di come farlo.