Questo è un post sulla letteratura. Più precisamente sulla pornografia in letteratura. Quindi se non vi garba l’argomento non dite che non vi avevo avvertiti.
Forse ero un po’confuso. O forse solo distratto. Quella distrazione che nasce dalla noia. Insomma, ho commesso un errore. Di solito non ci casco. Non dico che non ci casco mai, ma quasi. L’ho fatto anche se sapevo che non avrei dovuto. Non si fa e basta. Sì, ieri sera ho letto l’inedito. Non tutto. Quasi tutto.
A mia discolpa vorrei precisare che stavo in bagno. Si sa cosa succede in bagno, non fate finta di non capire. Si ha bisogno di qualcosa da leggere che ci faccia compagnia senza troppe pretese. Un giornale, o meglio una rivista di quelle che vendono insieme giornale. Una cosa leggera insomma. Invece non c’era nulla da leggere che non avessi già letto. E il saggio di XY sulla rivoluzione industriale in Inghilterra era un po’ troppo a quell’ora. C’era solo l’inedito con le foto e tutto. Le foto non sembravano poi così inedite, come pure l’inedito del resto; diciamo che erano le foto che ci si aspetta quando si parla di lui. Sempre le stesse, pesca, caccia, sul ring, col bicchiere, con la bottiglia in mano, prima della corrida, durante la corrida, dopo la corrida.
Il guaio di essere vecchi lettori è inferiore solo al guaio che accade a chi essendo morto da un pezzo di foto nuove non se ne può far scattare. Mica sarete così ingenui da non sapere perché gli inediti non si devono leggere mai, spero. A meno di non doverci fare una tesi, un dottorando, o scrivere un articolo per la rivista specializzata che leggeranno, tutta la rivista, in quattordici. Quando va di lusso. Quelle cose che fanno tra di loro i ricercatori e che, assai saggiamente, restano di norma confinate a prendere polvere in ben celati recssi dell’Accademia.
A meno che non si tratti, che so, di gente come Rimbaud, ragazzi di genio che smettono di scrivere a diciassette anni e poi finalmente si occupano di cose più serie come il traffico d’armi; o di carte salvate dal fuoco dall’amico furbo, come Max Brod ad esempio, che si è assicurato un posticino nell’eternità disattendendo le promesse fatte a Kafka – “tutto nel fuoco, te o giuro”. Per non parlare delle (eventuali) scoperte di papirologi di (eventuali) testi Greci che parevano perduti per sempre.
Quando l’inedito è di un autore editatissimo in vita, e per di più è stato scoperto (l’inedito) dal nipote forse bisognoso di quattrini in occasione della nuova traduzione di un classicissimo, be’ mettersi a leggerlo (l’inedito) è masochismo del miglior conio. Eppure Antonio Monda che, giusto per citare l’inarrivabile Mourinho, pirla non è affatto anzi è un critico coi controfiocchi, nel boxino di spalla destra ha magnificato l’inedito. Con parole sublimi sullo stile, sul lavoro dell’autore, sulla parola – come sempre – controllatissima, lavoratissima, sorvegliatissima, eccetera eccetera. Perché secondo Monda appunto, l’inedito è addirittura degno de “Il vecchio e il mare”. Anzi, ha quasi lo stesso valore olè, di cui – ma guarda che combinazione – si annuncia la nuovissima traduzione.
Se c’è una cosa triste, ma triste tanto, è quando un buon vecchio grande scrittore imita sé stesso sino a fare un’involontaria parodia del proprio stile, del respiro del periodo, della punteggiatura e financo dei vezzi e dei birignao. Non c’è cosa peggiore al mondo del buon vecchio Hem che scrive ancora, di nuovo come se fosse la prima volta, come il buon vecchio Hem ci ha abituato (e deliziato) dai 49 racconti in poi. C’è la pesca in quest’inedito. O quanta. E ci sono le bevute la sera prima e forse anche quella dopo. E un’insensata descrizione di un tipo violento e forsanche un po’ pédé come sgradevolmente dicono i francesi, in un locale. E i giochini con i nomi dei protagonisti del racconto inedito che era meglio se restava tale che si chiamano vicendevolmente Cap, con la prevedibilità di una striscia dei Peantus, quelle che leggiamo sapendo già dove andranno a parare, cosa farà o non farà Lucy e come reagirà o non reagirà quell’imbecille di Charlie Brown e tutto quanto il resto, un meccanismo che ci delizia perché è la prevedibilità la base del nostro piacere, lo stesso che quando eravamo bambini ci spingeva a chiedere ancora e ancora la lettura della stessa fiaba.
Dell’inedito che era meglio restasse tale del buon vecchio Hemingway la reazione è invece la stessa della goccia di collirio medicale (“coraggio, apra bene l’occhio, non brucia”) che ti tocca subire la quindicesima volta (invece brucia). Non c’è cosa più triste di un ex-grande scrittore che ha esaurito le cartucce e si fa il verso da sé medesimo: forse è per questo che l’inedito stava nascosto in un cassetto. Dev’essere questa la ragione per cui il buon vecchio Hem si è sparato in bocca con un fucile da caccia nella sua casa dell’Idaho; la vecchia depressione di famiglia, certo; il padre, anche lui morto suicida; l’alcool e mettiamoci pure – come sospetta qualche biografo – anche l’impotenza, che a un super macho come lui doveva sembrare la peggiore delle condanne; resto tuttavia dell’idea che uno che ha vissuto di scrittura (di grande scrittura) non riuscire più ad essere originale e autentico (l’autenticità era uno dei chiodi di Papa come lo chiamavano gli amici) dev’essere stata la famosa goccia.
Marcel Proust, un altro morto di scrittura – o meglio: morto per la scrittura – che la sapeva lunga più di chiunque altro, aveva principiato coi “Pastiches”; racconti di eventi insignificanti presi pretesto per raccontare… alla maniera di Balzac, Flaubert, Sainte-Beuve, o come avrebbero narrato i fatti i pettegolissimi Edmond e Jules de Goncourt, nel loro “Journal”. Esercizi di scrittura squisiti (ecco un aggettivo che più proustiano non si può) che dimostrano una padronanza critica del linguaggio e dello stile assoluti. Ma, per l’appunto, un conto sono gli “esercizi di stile”, altra cosa è scrivere e riscrivere (l’ennesimo) testo alla Baricco. Va benissimo se sei un parodista. Un guaio se invece sei Baricco che fa Baricco per la centesima volta. Ecco perché gli inediti il più delle volte è meglio che restino tali.
Perché si pubblicano degli inediti irritanti più della sabbia nelle mutande (metafora che il buon vecchio Hem avrebbe forse apprezzato: chissà quante volte, oltre ai tagli sulle mani per via della lenza e al male di schiena guadagnato in ore e ore e ore di lotta con il Marlin, gli sarà capitato sulle spiagge di Cuba)? Che bisogno c’è di ri-tradurre un testo come il “Vecchio e il mare”? Se non vado errato, la versione di Fernanda Pivano fu pubblicata da Mondadori già nel 1952, l’anno dopo la prima edizione inglese. Eccellente lavoro quello della Pivano, e il suo italiano freschissimo e attuale. (Altro discorso per la “Montagna” che da incantata aveva bisogno di un sacrosanto restauro che la facesse ritornare ad essere “magica” come l’autore aveva sancito essere).
Perché si pubblicano degli inediti che era meglio restassero tali? La risposta che mi dò me la suggerisce Omero (beato lui che non corre il rischio di inediti-parodia!) e la tradizione greco-latina: in Passato sì che gli uomini erano Eroi; sì che erano grandi Loro, e forti e possenti e gloriosi, Loro. Mica come adesso che tutto è rinsecchito e svilito e diminuito: il sapere, la conoscenza, il valore stanno nel Passato. Basta riscoprirlo, ristudiarlo, ri-editarlo….
Viviamo tempi di decadenza? Probabile. Insieme ai tempi, è decaduta pure la stroncatura e la figura stessa dello stroncatore. La causa è da ricercarsi nel marketing editoriale, la conventicola globale del lupo non mangia il lupo, io lo faccio a te e poi tu lo fai a me (le brutte cose innominabili che si fanno tra loro i “poeti laureati” e pure i narratori, laureati e non). Poi non lamentiamoci se la gente che legge s’avvezza a leggere schifezze e, peggio, ad apprezzarle pure. La cattiva letteratura, e in particolare quella di origine sarda, è molto peggio della pessima moneta. La quale, come sanno anche i pescatori cubani, scaccia la buona.