Una breve considerazione sul (maledetto) mestiere della comunicazione. Per giorni, settimane, mesi, il mondo dei media si è vivacemente occupato della signora Catherine Elizabeth Middleton. Per giorni, settimane, mesi, sono state pubblicate non-notizie sotto forma di ipotesi, inferenze, congetture, supposizioni oscillanti tra un livello minimo di volgarità (è gravemente malata ma non ce lo vogliono dire) e uno massimo (è scappata con un amante).
Ieri Catherine Elizabeth Middleton ci ha informato riguardo la sua salute. Ponendo (forse) fine al sabba di ipotesi, inferenze, congetture, supposizioni. Dopo 50 milioni di visualizzazione della foto malamente taroccata con photoshop, il mondo dei media saprà occuparsi d’altro?
Nel frattempo, mentre i giornali agonizzano spiaggiati sulle sponde di edicole chiuse, gli editori dichiarano vendite digitali alle quali non crederebbe neppure l’Orso Yoghi, apparentemente inconsapevoli del fatto che se per decenni hai rincorso on-line una massa di decerebrati apparecchiando loro puttanate agratis, sarà dura convincerli che l’informazione è un piatto di minestra che in un modo o nell’altro va comunque pagato.
Il guaio, grosso come un orso sovietico putinizzato, è che la massa di decerebrati che abita immeritatamente in quella cosa che ci ostiniamo a chiamare Occidente non ha la più pallida idea riguardo a quell’oggetto misterioso che chiamiamo qualità dell’informazione. E quel che è peggio, neppure delle conseguenze pratiche che una notizia vera ha rispetto a una falsa.
Il problema, finalmente lo stiamo comprendendo, è persino più grosso di un orso sovietico putinizzato. La percezione della qualità – e del suo esatto contrario: la non qualità – è un’arte che richiede tempo, applicazione e, a complicare le cose, pure un po’ di talento. Purtroppo, pare che la nostra epoca post-novecentesca ne sia del tutto sprovvista.