Il secolo sciatto

By on Ago 1, 2015 in Comunicazione, Contemporaneità

Fateci caso, almeno una volta è accaduto anche a voi. Il pensare che il moderno, o meglio: il contemporaneo, sia per definizione migliore di ciò che è passato. Che i moderni siano meglio degli antichi. E che questi ultimi, proprio perché inconsapevoli di essere tali ovvero antichi, finiscono per apparirci persino un po’ coglioni nella loro ingenua ignoranza dell’ignorare quello che per noi – così moderni e quindi così progrediti – crediamo di sapere.

Una storia di questo genere la racconta molto bene Marc Fumaroli nel suo “Le api e i ragni”, nel quale si narra della feroce disputa secentesca tra Antichi e Moderni, dove la modernità si rivela quale atrofia della memoria. (scusate, ma non ho ancora imparato a inserire i collegamenti ipertestuali sul pc: speriamo che Massimo torni in fretta dalle vacanze!).

Una sottile linea di pensiero che attraversa anche la nostra epoca, il tempo della brevità, della concisione, della velocità. L’oggi è meglio dell’altroieri per non parlar dell’ieri. Tutto talmente “veloce e conciso”, da sembrare una continua eiaculazione precoce scandita da testi che non possono essere più lunghi di 140 caratteri e da apparati iconografici che hanno sostituito i registri verbali.

Un modo carino per affermare come l’ignoranza crassa della “lettura per immagini” abbia soppiantato la inevitabilmente più lenta e laboriosa elaborazione dei concetti attraverso la decifrazioni delle parole, delle frasi, dei paragrafi, dei capitoli. Come per il football, la cucina mediterranea, il tennis da tavolo, anche il mestiere del pensare si articola attraverso i fondamentali, il presupposto logico di qualunque disciplina affrontata con serietà.

L’ultima stupida polemica nata dalle dichiarazioni di Umberto Eco sulla stupidità della Rete, stupidissimamente rilanciata da decine di forum di ignoranti indignati per essersi riconosciuti nella definizione del massimo semiologo di casa nostra, sembra ribadire, se possibile con ancora più forza, la drammaticità del problema. Eppure è evidente come la brevità generi superficialità e l’eccesso di stimoli digitali provochi la caduta verticale dell’attenzione. Il risultato è l’annullamento della memoria: quando tutto fluisce ininterrottamente senza distinzione di natura e valore, nulla è più memorabile e l’acqua del fiume Lete, l’acqua dell’oblio, scorre liberamente dalle bocche ai visceri.

Oh-là-là, ecco l’ennesima tirata passatista del nostro scontento che sostituisce l’estate con l’inverno. Indovinate chi sto citando? Su, non è difficile: “Ora l’inverno del nostro scontento è reso estate gloriosa da questo sole di York, e tutte le nuvole che incombevano minacciose sulla nostra casa sono sepolte nel petto profondo dell’oceano.”. Perché cito lo Shakespeare preso in prestito da Steinbek per dare un titolo ad un suo (per altro assai modesto) libro? Per smentire una volta di più l’effetto wikipedia: a che serve studiare con faticosa lentezza se tanto si può trovare tutto in Rete, sostengono i nostri veloci analfabeti di andata e ritorno. Ma per trovare, bisogna sapere cosa cercare, e sapere chi ha creato cosa, quando e perché.

Grande sconforto assale chi come me sente più volte nel corso del giorno d’appartenere ad un’altra epoca, un altro mondo; e ciò nonostante fa parte del mondo di oggi e con esso si confronta e sta in battaglia. Lo sconforto di chi ama leggere libri di carta, anche se l’e-supporto è tutt’altro che insensato; di chi ama la parola scritta quale anello di congiunzione tra passato e futuro; di chi detesta sopra ogni cosa l’approssimazione, il dilettantismo, l’apologia dell’ignoranza. L’ignoranza è come il pedalino corto: comunque inammissibile.

Per questo è stato un sollievo imbattersi nell’intervista su “Rep” a Bruno Giussani, secondo Wired uno dei 100 uomini più influenti d’Europa. Questo signore fa affermazioni del tipo “C’è un altro mega trend al potere: l’indifferenza per la qualità. Segna la nostra vita non solo nella scelta dei beni materiali. Ma condiziona i rapporti personali. Abbassa il valore del lavoro delle persone. E’ il male oscuro del secolo breve. L’universo delle idee è infinito. Ma la durata vitale e culturale del loro uso e consumo si è sempre più ristretta. Il valore del tempo si è disciolto in 140 caratteri, nel vuoto dell’attesa, nella cultura dell’ultimo minuto”.

Questo signore non vende gattini su Internet. E’ il guru (orrendo neologismo: chiedo scusa ma sono un po’ stanco) di TEDGlobal, una cosetta che si occupa di idee che cambiano il mondo mica bruscolini all’uscita di scuola. Questo signore dice che a giugno al TEDGlobal di Londra hanno bandito la tecnologia e ammesso solo carta e penna. Pare che moltissime persone abbiano confessato il sollievo di non dover essere, una volta tanto, in competizione con il web: la distrazione è diventata una piega sociale.

Questo signore originario di Bergamo (nessuno è perfetto) ha confessato che non acquisterà più libri da Amazon. Le condizioni di lavoro dei dipendenti, dice, non sono da applaudire (eufemismo). Tutto legale, afferma Giussani, ma per lui illegittimo. Il risultato è non ricevere libri entro le 24 e pagarli un poco di più. Ma lui preferisce vivere in un modo in cui si rispettano le persone, dice. Afferma di “aver perso il conto delle persone che non riescono più a concentrarsi su un libro serio”.

Il secolo breve, conclude Giussani, ha bisogno di soluzioni lunghe.

L’idea che il mondo si accontenti di qualità diminuita in cambio di realtà aumentata (e di tutte le altre sciocchezze para-tecnologiche che impediscono di pensare) mi fa paura. Tutavia, parto egualmente per le vacanze. Porto con me quale meraviglioso antidoto una lettura che richiede tempo, fatica e (molta) concentrazione. Come la pratica del biciclismo in salita. Ma procura una lunga, persistente voluttà. Un piacere sostenibile da tutti i punti di vista.

Buona estate e buon tempo lungo a tutti