Il guanciale smacchiato

By on Ago 28, 2022 in Comunicazione

I soliti quattro sfaccendati che insistono a leggere i miei biscottini digitali mi chiedono cosa ne penso della campagna social del PD. Troppo comodo scrivere raccontini su questo o quel libretto – e chissà se li hai letti davvero – sostengono; in qualità di PPA (Piccolo Pubblicitario Anziano) devi darci la tua opinione.

Detesto scrivere sul nulla. In particolare di quella cosa che va sotto il nome di politica. Nel migliore dei casi non ha utilità alcuna; nel peggiore è il modo ideale per farsi riempire la bacheca di puttannate a cui poi tocca dare (faticosa) risposta. Altri poi hanno già commentato in modo esauriente le scelte comunicative di Enrico Letta, sicché il rischio di passare per plagiaro è assai concreto.

In estrema sintesi, segnalo qui di seguito le incongruenze, gli errori e i veri e propri crimini che i più avveduti e competenti hanno già segnalato:

Come dicevo, considerazioni note che circolano in rete. Purtroppo sono prediche più inutili di quelle espresse del compianto Keynes ne Le conseguenze economiche della pace. La domanda delle cento ghinee inflazionate al punto da valere assai meno delle cento pistole è dunque la seguente: perché mai è impossibile fare comunicazione politica in modo serio, intelligente e, vivaddio, persino efficace?

La mente ritorna al lontano anno in cui il PCI si sciolse. Davvero una brutta espressione. Diciamo allora evolse e da PCI divenne DS. Allora la discussione sul nome furoreggiò al punto che pure i satirici di Michele Serra ai tempi direttore di “Cuore” (o di “Tango”?) si sbizzarrirono nei suggerimenti più strani tipo “chiamiamolo Luigi”, che non era poi una brutta idea. In quegli anni e poi nei successivi avevo stretto sodale amicizia con Carlo G., pubblicitario esperto di pianificazione media e uomo di grande cultura e intelligenza. Più volte ebbe modo di raccontarmi sgomento i deliri delle riunioni romane alle quali partecipava in qualità di consulente. Era il tempo dell’innominato, quando bisognava trovare il nuovo nome; e successivamente ancora nel 2007, nel corso del breve periodo che vide il povero Veltroni tentare di fare il segretario del neonato PD. Parole inutili le sue come quelle degli altri chiamati a proporre una sapienza di cui i politici poi non sanno che fare.

Ho usato un termine delicatamente psichiatrico (“delirio”). Avrei invece dovuto impiegare parole più acconce come personalismo, dilettantismo, assenza di visione, incapacità di elaborare il pensiero strategico. Ovvero i morbi che strangolano in culla qualsiasi (buona o cattiva) campagna pubblicitaria. Malattie infantili e contemporaneamente senili colpiscono indifferentemente l’aziendina del sciur Brambilla, la multinazionale guidata da un CEO che per tutta la vita ha fatto il contabile e vivaddio finalmente può “fare la pubblicità”, e soprattutto i partiti politici. I partiti sono aziende che cambiano al loro brand missione e identità ogni cinque minuti a seconda dei sondaggi e di cosa sta nella capoccia dei leader che, come dice la parola, dovrebbero dar loro guida.

Quindi – li sento già – come dovrebbe nascere una campagna pubblicitaria caro il mio saputolo, chiedono a gran voce gli amici del Bar del Giambellino. Che si tratti di un assorbente per signora, piuttosto che un detersivo per piatti, una merendina o un’auto elettrica, la “pubblicità” è la diretta conseguenza di un percorso di pensiero che definisce gli obiettivi, le risorse e la strategia di comunicazione nel rispetto della brand equity e della brand identity. Ovvero “il chi sono” e cosa “valgo per chi” della marca. Pensate alle campagne di Dash, di Coca-cola o di Volkswagen. A tutela di questi brand ci sono fior di professionisti pagati fior di quattrini: il loro compito è (anche) quello di impedire i colpi di testa, gli innamoramenti e le cazzate estemporanee del primo “creativo” che passa. Certo, la “pubblicità” deve distinguersi dalle altre, “bucare lo schermo”, farsi ricordare e soprattutto VENDERE. Ma mai a discapito della natura della marca. Con il brand non si gioca, non si scherza. Soprattutto non si improvvisa. Cosa che invece i gruppi dirigenti dei partiti politici fanno continuamente.

I bene informati dicono che l’agenzia a cui si è rivolta la bad-gang del PD sia tra le più fiche del bigoncio. Immagino siano bravi, competenti, seri e impegnatissimi. Non conosco il brief che hanno ricevuto (leggi, gli obiettivi che la campagna deve conseguire: convincere gli indecisi? Motivare al voto chi non si reca più alle urne? Conquistare i cuori dei gggiovani?) e neppure il compenso concordato. Riesco invece ad immaginare i giorni trascorsi in riunioni infinite tra tramezzini di scarsa qualità, acqua minerale calda e puzzo di sigarette. Qualcuno magari mi correggerà informandomi che, almeno quelle, sono elettroniche. (“È tutta colpa della luna, quando si avvicina troppo alla terra fa impazzire tutti”).

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