La vicenda di cui è stato vittima il filosofo Alain Finkielkraut, voce erudita del neo-conservatorismo lepenista francese, potrebbe essere tranquillamente infilata nella cartella “eventi surreali” o, nel dubbio, “paradossi epistemologici”. Purtroppo per lui e tutti noi, Finkielkraut è di origine ebraica, venuto al mondo grazie al fatto che i suoi genitori riuscirono a sopravvivere alla deportazione ad Auschwitz.
L’elemento surreale, o se preferite il paradosso epistemologico, consiste nel fatto che gli aggressori l’hanno apostrofato con i classici insulti della vulgata nazista, quelli che – non so se in modo più ipocrita o vergognoso – i telegiornali amano definire “antisemiti”.
La cosa divertente per chi ama il situazionismo surrealista, tempestivo intervento della polizia francese a parte, è che gli aggressori appartengono al movimento così detto dei “Gilet gialli” nei confronti del quale Alain Finkielkraut, prestigioso studioso di storia delle idee, aveva più volte espresso la propria cordiale simpatia.
Viviamo in tempi assai confusi. Ma anche straordinariamente liberi. Al punto che chiunque può (impunemente) dissentire su qualsiasi argomento: i deboli di mente sulla forma della Terra; i traumatizzati dalla scuola materna sull’efficacia dei vaccini; i ministri dei Trasporti sull’utilità dei trafori alpini, i vice-primi-ministri sull’opportunità di “fare amico” con chi sfascia la testa ai poliziotti. Ai pensatori, categoria alla quale appartiene Alain Finkielkraut, capita invece perdere il senso della realtà. Quando si vive in tempi normali non è un problema: di regola ci pensa un nipote affettuoso o una moglie devota. Il guaio è quando i tempi si fanno bui.