Secondo quanto riportano i giornali Gualtiero Bassetti, presidente della Cei (Conferenza Episcopale Italiana) ha affermato: “Anche in caso di grave malattia la richiesta di morire non deve essere accolta. Non esiste il diritto a darsi la morte”. E ancora: “Quella di darsi la morte non è una scelta di libertà. Non esiste un diritto a darsi la morte perché vivere è un dovere… La vita più che un nostro possesso è un dono che abbiamo ricevuto e dobbiamo condividere…. Vivere è un dovere anche per chi è malato e soffre”.
La Chiesa sta dunque schierandosi per la revisione della legge sulle “Dichiarazioni anticipate di trattamento” votata dal Parlamento nel 2017. La richiesta è di inserire l’obiezione di coscienza per i medici, il più classico dei cavalli di Troia sperimentato con successo anche contro la legge sull’interruzione delle gravidanze. Non essendo per mia fortuna né un parlamentare né tantomeno un lobbista, non è questo che mi ha colpito. La riflessione che affermazioni “vivere è un dovere e “la vita non ci appartiene” inducono riguardano un tema assai più importante di una pur (importantissima) battaglia parlamentare. Secondo Agnes Heller nel suo “Breve storia della mia filosofia”, esistono casi in cui la Libertà e la Vita, i due valori fondamentali della modernità, risultano inconciliabili e non possono in alcun modo dialogare. È una delle conseguenze della terrificante scoperta che il nostro mondo è infondato. La spaventosa consapevolezza dell’essere “gettati nel mondo” ci apre tuttavia la possibilità di autofondarci, ovvero di trasformare la nostra contingenza, la casualità del nostro essere nel mondo, in destino conclude la Heller
Al di là di queste considerazioni, ascoltando asserzioni quali “la vita più che un nostro possesso è un dono che abbiamo ricevuto” è inevitabile provare un senso di vertigine, come se la macchina del tempo ci avesse riportati alle epoche dei Bossuet o dei de Maistre, assertori della suprema autorità papale sia nelle questioni religiose che in quelle politiche.
Mi paiono ancora una volta esemplari per delicatezza e misura le parole di Beppino Englaro, il quale commentando la scelta di una famiglia francese che aveva assistito per decenni il figlio in stato di morte celebrale, ci ricorda che in tema di vita e di morte le scelte non possano che essere personali. Assolutamente e rigorosamente personali. (Se io non sono mio – se non posso andare a me stesso – a chi altri apparterebbe la mia esistenza?).