Come ogni anno nella stagione delle piogge, delle frane e degli smottamenti si celebrano i Premi Nobel. Come ogni anno le scelte destinate a far discutere riguardano i premi alla Letteratura e alla Pace, essendo le altre categorie (Economia, Fisica e Medicina) territorio impraticabile per i comuni mortali.
Letteratura e Pace, come nocciola e pistacchio, non si negano quasi a nessuno. Perché tutti leggiamo, e tutti (o quasi) consideriamo la pace un valore assoluto. Sicché dopo il verdetto dei vecchioni di Stoccolma ci riteniamo in diritto di dire la nostra. Come parla il lettore sprovvisto della patente di critico e, soprattutto, di un’adeguata tribuna? Parla la lingua del consumo, la sola di cui dispone, aderendo alla proposta d’acquisto che il Premio come tutti i premi sottende; oppure si sottrae evitando di versare l’obolo indicato sul retro di copertina.
Come si sceglie il Nobel per la letteratura? Perché si premia Rossi invece di Bianchi? Com’è noto, i vecchioni di Stoccolma seguono criteri “politicamente corretti”. Lo scrivo tra virgolette. Ma avrei dovuto scrivere correttissimi. La loro bilancia è precisissima nel premiare di volta in volta il profugo, il perseguitato politico, l’esponente del Terzo Mondo. O, come l’anno scorso, un rappresentante della cultura africana il cui nome, sconosciuto ai più, gettò nel più nero sconforto decine di redazioni. Inutile ricordare che grandi (grandissimi) esponenti della letteratura novecentesca non hanno ricevuto il riconoscimento nonostante il loro contributo sia destinato a superare la prova del tempo.
In questa fiera delle vanità inutile chiedersi cosa sia la letteratura. Forse la letteratura non c’entra nulla con il Premio Nobel (per la letteratura). Una risposta interessante su cosa sia scrivere e leggere la offre J.P. Sartre, uno dei vincitori di che rifiutò il premio. Un’altra, forse assai più interessante, la offre Wisłava Szymborska nel discosto tenuto per il Nobel (lo trovate scaricando il pdf). Ma sull’edizione 2022 che dire? Uno degli addetti ai lavori che più stimo scrive: “Sono contento per il Nobel a Annie Ernaux. Intanto perché scrive bene e in un modo comprensibile e accessibile senza difficoltà per chiunque. Poi, perché non è fedele a nessun genere di prosa e potrei elencare altri motivi per cui appunto mi piacciono i suoi libri. Ecco, un’autrice che mette quasi tutti d’accordo. Non accadeva da anni (e anche in questo senso l’Accademia di Svezia interpreta lo spirito del tempo, lo Zetigeist)”.
“Scrive bene e in un modo comprensibile e accessibile senza difficoltà per chiunque” mi pare un concetto assai sensato: gli sperimentalismi inaccessibili lasciano il tempo che trovano. Non è un caso che Joyce, forse il più grande degli sperimentatori, sia scrittore amato soprattutto dagli scrittori. Tuttavia inevitabilmente il dubbio sorge: se il criterio è l’accessibilità e la comprensibilità (oltre che la bravura) perché non premiare la signora Rowling? Ha l’indubbio merito di aver fatto leggere milioni e milioni di persone (che forse e altrimenti non avrebbero mai letto neppure una riga in vita loro). E cosa significa “interpretare lo spirito del tempo”? Forse che tra cinque anni o forse addirittura tre, lo spirito sarà mutato al punto che le opere della premiata saranno giudicate alla stregua delle ciofeche? E quanti crimini si sono commessi “interpretando lo spirito del tempo”?
“La sua scrittura è un atto politico” titola oggi “Repubblica” l’articolo di Michela Marzano la quale sostiene che il lavoro di Annie Ernaux “rende magnificamente testimonianza della vulnerabilità della condizione umana” frase destinata ad aumenta ulteriormente la mia confusione. Se dunque il criterio è la vulnerabilità della condizione umana (oltre alla qualità della scrittura e alla comprensibilità) chi più di Salman Rushdie conosce le lusinghe e le minacce dell’umana esistenza? Chi più di lui – dotato di buona e comprensibile scrittura – ha sperimentato la fatica e la vulnerabilità dell’essere gettato nel mondo? Chi più di lui avrebbe meritato d’essere premiato?
Mai come quest’anno i vecchioni di Stoccolma hanno avuto la possibilità di onorare l’essenza della Letteratura – il significato ontologico dello scrivere – e l’hanno puntualmente sprecata. Si trattava di compiere una scelta che andava infinitamente al di là del gusto, delle mode, degli esercizi stilistici e persino del tempo. Si trattava di ribadire ciò che riguarda tutti noi e soprattutto chi verrà dopo di noi: nessuna ideologia, nessuna violenza, nessuna coercizione potrà impedirci libertà di pensiero e di parola.