I russi sono matti

By on Gen 27, 2020 in Letteratura

Ho comprato e poi letto (le due cose non sono sempre congiunte) i “I russi sono matti. Corso sintetico di letteratura russa” di Paolo Nori per la buona ragione che me l’ha consigliato uno di cui mi fido. In verità, non l’ha consigliato direttamente e personalmente a me ma, fateci caso, una cosa funziona – letteratura, cinema, pittura e persino la retorica politica – quando sembra che l’autore stia parlando proprio a te.

Il guaio di “I russi sono matti” è la premessa; i quattro scioperati che mi leggono sanno quanto detesti le introduzioni e le premesse. Quelle di Nori sarebbero anche divertenti e parecchio, se non che la sua scrittura imita quella di Baricco, del Baricco quando è stanco e gli viene fuori il birignao di Salinger quando Salinger fa parlare il giovane Holden con l’intonazione e le cadenze che l’hanno reso l’adolescente di riferimento del Canone Occidentale (scritto maiuscolo in onore di Harold Bloom). Insomma, Nori che fa il verso a Baricco quando Baricco scimmiotta la voce del giovane Caulfield, mi sembra un po’ troppo.

Per mia fortuna la voce del mio consigliere personale, che personale non è ma non importa, è così autorevole nella sua gentile fermezza, che sono andato avanti. Paolo Nori ha smesso di imitare Baricco quando è stanco e fa il birignao di un character; così il suo corso sintetico di letteratura russa si è rivelato per quello che è: la lettura ideale nel momento più difficile della giornata, quello che precede il sonno (ammesso che il sonno giunga) e si ha bisogno di antidoti ai veleni della giornata.

“I russi sono matti corso sintetico di letteratura russa” ha il pregio di spiegare come e perché la scrittura dei russi sia unica e straordinaria. E di farlo in modo esemplare che persino la casalinga di Crotone che ha sostituito quella di Voghera nel frattempo evolutasi potrebbe comprendere. La stella polare di Nori è Viktor Borisovič Šklovskij il critico letterario talmente geniale da riuscire a spiegare in due (semplici) capoversi in cosa consiste la stupore di un testo, la sorpresa che rende un’opera un capolavoro piuttosto che una ciofeca.

Nori fa sua la lezione di Šklovskij: la meraviglia della letteratura russa è rendere visibile il visibile che non siamo (più) capaci di vedere. O che non abbiamo mai visto anche se era sotto i nostri occhi. La poetica del quotidiano che in russo si chiama byt. E che Šklovskij chiama “straniamento”, l’artificio che conduce il lettore fuori dalle secche della (banale) percezione.

La letteratura russa piace a Nori perché fa male. Anzi, più male. “Per questo, credo, ho letto più libri scritti in russo che libri scritti in qualsiasi altra lingua, per il male” afferma. Secondo Nori la letteratura russa è morta con la fine dell’URSS. Adesso scrivono come gli occidentali, sostiene. Io non so se abbia ragione: l’ultimo russo in senso cronologico che ho letto è Vasilij Semënovič Grossman che infatti mi ha fatto malissimo. Tutto quello che hanno tradotto di lui e che quindi ho potuto leggere è dolore, spietatezza, insensatezza, mancanza di prospettiva e di speranza, il mondo di Stalin per intenderci.

La sola cosa che del libro di Noli non apprezzo, oltre alle prefazioni scritte imitando Baricco che fa la parodia di Salinger imitando Holden Caulfield inconsapevolmente, è la sua passione per Daniil Ivanovic Juvacev, lo scrittore dell’assurdo che si fa chiamare Daniil Charms, di cui riporta alcuni pezzi per fortuna brevi in appendice. Mi ricordano gli scritti di Maurizio Milani, il comico, scrittore, attore teatrale e giornalista, apprezzato da Giuliano Ferrara, divertente per non più di due minuti alla settimana. Di più fa l’effetto dello zucchero filato. Ma si sa, nessuno è perfetto, neppure io.

Ah, dimenticavo. Il mio consigliere personale è Wlodek Goldkorn, il signore che tra l’altro ha scritto le due cose che da sole giustificherebbero il lavoro di una vita: “il bambino nella neve” e “L’asino del Messia”. Bisognerebbe leggerle in classe nelle scuole dalla terza media in su, ma forse anche prima.

 

(Il 27 gennaio del 1945 avanguardie russe a cavallo giunsero al cospetto di Auschwitz)

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