I baci di Besoz

By on Nov 17, 2017 in Contemporaneità

“Besame, besame mucho como si fuera ésta noche la última vez“. Pare sia la canzone spagnola più cantata al mondo. E’ stata scritta nel 1940 dalla ventiquattrenne Consuelo Velasquez prim’ancora che desse il primo bacio, così almeno affermava.

Amazon invece dal 1994 ad oggi di baci ne ha dati parecchi, e non ha intenzione di smettere. L’ultimo, non in senso strettamente cronologico, lo vedete riprodotto nella foto. Trattasi di un simpatico armadio tecnologico che opportunamente disposto risolve una delle ultime barriere che si oppongono allo strapotere dell’azienda di Seattle: il portinaio, la cui assenza condiziona la consegna dei diabolici pacchi.

Quello ritratto è collocato in una zona che più strategica non si può nei pressi del Politecnico di Milano a Città Studi, affinchè anche gli studenti clienti compulsivi via web ma di norma privi di quell’autentico lusso milanese che è la portineria, possano celebrare nella chiesa di Jeff.

Del resto, come sottrarsi? Il vecchio regola-barba aveva dichiarato forfait (sembra l’incipit dell’Amaro Montenegro) e il sopralluogo nel grande negozio specializzato il cui nome comincia con la lettera “M” aveva dato i soliti tristissimi esiti: personale assente e/o neghittoso abbinati ad un’offerta risibile. Due fattori inutilmente denunciati sin dai tempi preistorici di quando “M” era un mio amato cliente. La rapida visita al sito di Besoz aveva invece risolto il problema: disponibilità di un prodotto di marca con le caratteristiche richieste (alimentazione duplice: rete e batteria) ad un prezzo ridicolo in assoluto (17 euro) e in relativo (rispetto all’offerta di “M”). Consegna: due giorni, senza spese di spedizione.

Tutto bene, dunque. Salvo il fatto che questo mirabile esempio di “disruptive innovation” che ormai tanto innovativa non è più poichè è di fatto il nuovo paradigma, non solo ammazza il vecchio modo di promuovere, commerciare e vendere (le tre cose insieme) ma distrugge giorno dopo giorno il panorama della urbs e insieme ad essa della stessa civitas (se vi interessa conoscere la differenza ne parlo qui: http://www.lenuovemadeleine.com/urbs-e-civitas-2/).

Se in fondo dei destini dell’insegna “M” piuttosto che “X” o “Y” o di qualunque altra struttura di grande distribuzione organizzata non ce ne può legittimamente importare di meno (posti di lavoro a parte), la scomparsa del punto di vendita fisico riguarda invece il concetto stesso di città, e dunque chiunque di noi. Quartieri di sole banche, finchè durano anche loro; serrande sprangate per cessata attività, buoi fitto a mezzogiorno: è questo il destino che ci attende?

Non mi occupo più di retailing da un pezzo. Sono tuttavia certo che cervelli valenti sono all’opera in tutto il mondo, impegnati a trovare un nuovo ruolo (e quindi un nuovo futuro) al punto di vendita “umano”. Un luogo dove si va a conoscere (toccare, annusare, soppesare, adocchiare, valutare, comparare…) quelle stesse merci che poi verranno acquistate on-line su uno dei siti di Jeff o del suo (orrendo) competitor cinese, il signor Jack Ma il cui cognome congiunzione coordinativa avversativa, esprime perfettamente l’ineluttabile aggressività dei nostri tempi.

Eppure il buon vecchio punto di vendita è anche un luogo di aggregazione, incontro, scambio, relazione. Come sa bene chi vive nei piccoli centri di provincia, o chi come me e molti altri ama trasformare i propri punti vendita di riferimento (edicola, banco del pesce, della carne e del pane al supermercato, etc. etc) in occasioni di ciacola e di riconoscimento della propria e altrui condiziona umana. Vale la pena per quanto possibile di difenderlo accompagnandolo in una difficile (impossibile?) transizione verso i lidi oscuri e minacciosi della modernità, quella vera o supposta. L’alternativa è diventare, come vaticinia qualche economista estremo, un paese di fattorini, cuochi e camerieri, una ben triste prospettiva. C’è da chiedersi se quelli di Besoz non siano i baci della morte.

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