Götterdämmerung

By on Apr 17, 2020 in Contemporaneità

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Esselunga, icona e simbolo amatissimo. In particolare da chi milanese lo è diventato. Inutile obiettare che milanesi lo sono diventati quasi tutti: gli autoctoni sono più rari di un sovranista acculturato: Prima dell’Esselunga c’era la Scala, il Duomo e il panettone che quella chiesona massiccia aveva trasformato in logo. L’Esselunga con le sue pubblicità verduromorfe, con i babbacetti di Harry Potter e delle Guerre stellari. L’Esselunga con il suo bravo record di redditività per metro quadro e la rissosità di patron Caprotti, a testa bassa contro le cooperative e i reprobi di famiglia. L’Esselunga con le sue installazioni in puro barocco brianzolo che appaiono ai rondò della campagna lombarda come le astronavi dell’Impero. L’Esselunga benchmark di riferimento in Italia e nel mondo. L’Esselunga, l’innovatore, il precursore, l’esploratore. La bomboniera di certezze per il metropolitano evoluto, la casalinga spocchiosa, il pensionato engagé, lo studente fuori sede viziato dalla cucina di mammà.

Ma come nelle fiabe, un brutto giorno arriva l’epifania che tutte le certezze le porta via. Nonostante le avvisaglie avessero brontolato a lungo come un temporale estivo, abbiamo fatto orgogliosamente spallucce, come se la cosa non ci riguardasse, come se il Corona fosse una robetta da poracci. Il Corona scoppia e non è un’influenzina un po’ più forte, di Corona si muore; così – finalmente – iniziamo a preoccuparci. Non troppo, diciamo il giusto: chi ci ammazza a noi fortunati abitanti nel centro-centro di Milano, come dicono quelli di Bari quanto incontrano un barese e vogliono sincerarsi che sia davvero autentico; chi ci ammazza a noi che abbiamo non una ma ben tre Esselunga a portata di piede?

Scoppia il Corona, e noi quatti come gatti quando piove non usciamo di casa: chi ci ammazza se c’è la spesa on-line dell’Esselunga? La prima consegna arriva puntuale come il rintocco di una campana tibetana; due robusti trasportatori mascherati consegnano imperturbabili alla porta. La seconda ritarda come a volte accade sulla Linea 2 della metro, ma infine arriva nelle bustone di plastica gialla. Il commento – l’Esselunga è sempre l’Esselunga – gonfia i nostri petti lombardi.

E la terza? Non c’è il due senza il tre, recita il proverbio. La terza non arriverà mai: gli “slot” come li chiamano in Esselunga come se lavorassero a Malpensa, non sono più disponibili. Almeno a noi. Leggendarie cacce si sono nel frattempo accese sul web. Prenotazioni esibite come trofei sono improvvisamente fiorite su chat di FB un tempo altrimenti sofisticate generando ammirazione, invidia, gelosia. “A che ora?”. “Le sei?”. “Sì, ho messo la sveglia” sono i dialoghi che web designer, wedding planner, licencing manager (per non parlare delle nuove casalinghe forzatamente disperate) hanno iniziato a scambiarsi. Così da quaranta giorni buoni. Senza un commento. Una spiegazione. Un’avvertenza. Una scusa. Il pallino dell’indisponibilità sta fisso sul rosso.

Ieri sera l’Esselunga ci ha scritto. A noi e, immagino, a coloro che come noi sono registrati al sito. Si scusano. Dicono che uno dei “siti web” deputati per le consegne on-line è andato in corto. Non ci hanno detto altro se non che ha smesso di funzionare. E ciao Pep sono saltate il 50% delle consegne. Quaranta giorni ci hanno messo. Loro, il benchmark di mercato, il fiore all’occhiello della lombardità. Caduti come la Sanità del Fontana. Caduti come cadono le aziende quando si convincono di essere dèi immortali. Sarebbe bastato poco. Ciò che tutte le persone e le imprese serie fanno in un momento di difficoltà: scusateci, abbiate pazienza, siamo nei guai. Ce la metteremo tutta per rimediare. Grazie e a presto. Torneremo. Tornerete. Come prima. Più di prima. Un grande amore sa attendere. Eccetera eccetera. Dice il Tao che bisogna preoccuparsi quando le cose vanno bene. Conoscendolo, sono certo che anche Bernardo Caprotti sia incazzato nero.