Viviamo in uno strano paese. Arrestano dopo trent’anni il feroce mafioso e millantamila piccoli allievi del pur grande Saviano sospettano accordi con lo Stato; gli stessi poi commentano senza fare un plissè né una (facile) verifica la simpatica storia della bidella su rotaia. Crediamo a tutto perché ormai non ci stupiamo più di nulla e non crediamo più a niente perchè siamo talmente annoiati da aver bisogno di rifugiarci in mondi paralleli?
A fine anno una delle millantamila newsletter a cui sono abbonato per curiosità, bulimia, speranza di imparare da altri ciò che non so insegnarmi da me, mi racconta il declino di Meta, il nuovo nome del buon vecchio Facebook. Un declino annunciato l’anno scorso, tre anni fa, se non addirittura dieci. Non essendo un amante dei declini – sono ancora rattristato dalla caduta dell’Impero Romano e più in generale del mondo antico – evito di entrare nel merito dei problemi del signor Zuckerberg. Il solo dato che mi colpisce riguarda l’età dei facciabuccari. Secondo i papiri che ho letto pare che la fascia più consistente dei frequentatori del social comprenda persone tra i 40 e i 60 anni. Quindi giovani e giovanissimi in fuga.
Quel che so di Facebook è poco o niente. A mia discolpa posso dire che non mi occupo di analisi dei dati, profilazioni e ovviamente neppure di SEO. Lo uso sostanzialmente per seguire due categorie di persone: quelle “carine” secondo il mio insindacabile giudizio, e quelle che hanno qualcosa di intelligente da dire. Le due cose spesso coincidono. Come ben sappiamo, è l’algoritmo maledetto (sempre lui, anche se siamo noi umani a scriverlo) a decidere chi farmi vedere tra gli “amici” che ho in memoria. Sicché ho un’idea superficiale e certamente distorta di tutta la faccenda. Ma questo è uno spazio dove scrivo di comunicazione percepita e, ringraziando iddio, non sto lavorando a un report per l’Amministratore Delicato di turno. Mi permetto quindi una sintesi di fine/inizio anno. Eccola.
1. Il dramma del condividi
Anche io condivido. Non molto e non sempre. Quando una cosa mi colpisce (mi stimola, mi commuove o m’indigna) pigio il tasto. Tuttavia oltre a condividere mi sforzo di proporre contenuti così detti originali. come ad esempio questo. Magari sono banali. Ma (forse) un pochino meglio della foto di zia Peppina che fa la maionese. Il problema è che ultimamente i contenuti condivisi pare crescano a ritmi inflativi
2. Cluster
Ne ho individuati 5: Il caffè della Peppina | Sussurri e grida | E’ la stampa bellezza | Montagne verdi | Vorrei ma non posso
Il caffè della Peppina
E’ composto da persone che raccontano i fatti loro: nascite, morti, matrimoni, cresime e comunioni. Tramonti e albe, vacanze al mare e sulla neve. Foto di Gina, Nina e Pina. Sacrosanto: facebook è nato per questo.
Sussurri e grida
Raggruppa gli orfani della politica. Postano notizie e commenti di riguardanti i fatti e i misfatti del mondo indignandosi e sollecitando l’altrui condivisione. Sono sempre abbastanza incazzati. Sono pure abbastanza depressi. Il mondo non li ascolta abbastanza. Il mondo è un luogo triste e ingiusto. (il che è vero).
E’ la stampa bellezza
Il terzo è composto da giornalisti, operatori culturali e intellettuali in genere. Postano e condividono interventi e articoli pubblicati il giorno prima dalla loro testata. Di norma contributi di grande interesse. Tra loro, pure molti ex che si distinguono per intelligenza e giustificata acredine.
Montagne verdi
Il quarto è il cluster dei nostalgici. Quelli “dell’amico più sincero | un coniglio dal muso nero”. Com’era verde la mia valle, com’erano bianchi i mulini, com’erano vergini le maestre, ah sapesse signora mia. Tutto un florilegio di rimpianti, di foto d’epoca, di citazioni di prodotti, accessori e tecnologie del tempo che fu. Maniaci del caro estinto, non perdono una dipartita che sia una, anche se il povero caro (la povera cara) marciava verso i 95. Inevitabile che anche il peggio cane (la peggio cana) passato al mondo dei più divenga nell’attimo stesso della sua dipartita un genio pitagorico che ci lascia tutti più soli e più poveri. (“Cara lei come cantava lui”)
Vorrei ma non posso
Il quinto è quello dei poligrafi in difficoltà. Scrittori di qualche successo, collaboratori occasionali di qualche giornale on-line, ogni tanto accendono su Facebook “discussioni” (le virgolette sono d’obbligo) che hanno tanto il sapore dell’intervento suggerito dall’amico che fa il web-master. La finalità pare sia quella di dare una rinfrescata ai contatti, tenere un po’ vispo il profilo digitale strizzando l’occhio a Google che non si sa mai. Avvertenza: state lontani come la peste ed evitate di postare commenti anche solo lievemente critici. La permalosità dei “vorrei ma non posso” (vorrei scrivere sul New Yorker, corrispondere per Le Monde, dire la mia sull’Economist…) è persino superiore a quella di Vladimiro Putler. A me è accaduto e sono stato investito da una sequela di “Ma lei chi è? Come si permette?” solo perché avevo obiettato che proporre una discussione sul tema “Natale è alle porte: panettone o pandoro?” da parte di chi sino al giorno prima parlava di Joyce con il tono di chi ci aveva bevuto insieme millanta Guinnerss, mi sembrava una (piccola) caduta di stile. Consiglio: evitare di leggere.
Conclusioni
Voglio bene a facebucco. Grazie a lui leggo le squisitezze dell’amica E. che posta a manetta le vignette del Times e del Guardian; grazie al colonello O.G.S. ne so un po’ di più sulla guerra in Ucraina; e grazie a tutti gli altri compenso l’ignoranza umana che mi deriva dal fatto che per me quattro persone sono già una folla. Non mi resta quindi che sperare che il baraccone prosegua la sua corsa anche se patron Zuc guadagnerà un po’ meno a causa di “Meta”, una vera sòla come dicono a Roma. Non mi resta che sperare che Zuc non licenzi troppe persone e inizi a pagare il dovuto agli editori. Soprattutto, non mi resta che sperare che FacciaLibro non faccia come in passato il furbo con i nostri nomi e i nostri profili. Ma questa speranza temo sia persino più esile di Spike, il fratello di Snoopy che vive nel deserto in mezzo ai coyote.