Vorrei tanto parlare (scrivere) di quello che sto leggendo, delle mostre che ho visto o delle nuove scoperte musicali. Invece questa mattina in metrò ho sbattuto il muso nell’infografica alle pagine 10 e 11 di Repubblica. E’ stato un urto doloroso, anche se largamente conosciuto. Ma con l’orrore non puoi (non devi) vivere 24 ore al giorno. Sicchè dimentichi, o almeno ci provi.
L’ingografica racconta (madamina, il catalogo è questo) che in Europa nel 1939 vivevano 9,5 milioni di ebrei. Al termine della guerra, sei anni dopo, ne rimasero 3,8. Oggi la cifra è 1,4.
Dove sono andati a finire i nostri ebrei, cittadini europei di cultura ebraica, non tutti fanno mostra di sapere. Qualcuno fa il furbo, qualcun altro non sa per ignoranza o ignavia.
Come la mia vicina di casa del secondo piano, una ex-ragazza polacca divenuta oggi una giovane signora, madre di due biondi fanciulli. Storie di androne davanti alla portineria, di chiacchere il tempo del trasporto del passeggino sulle scale, di un viaggio condiviso in ascensore. Io le chiedo la pronuncia dei poeti polacchi /estoni /lituani (i miei grandi amori Milosz e Szymborska) che lei paziente ripete e io, scemo e impaziente, continuo a non imparare. Poi un giorno, mentre tornava da Varsavia dove pare abbia “parenti importanti” (oh, oh!) salta fuori il gioco dell’indovina indovinello quanti ebrei nel mio cestello.
Sì, le ho chiesto quanti pensava fossero oggi nel suo paese i cittadini polacchi di cultura ebraica. Centinaia di migliaia, forse milioni, mi risponde inconsapevole. Quando le dico che non arrivano a diecimila, fa la boccuccia a culo di piccione e mi squadra con l’occhio ceruleo d’ordinanza in un molto esibito moto di stupore. Ma va, mi dice ridendo. Vado dai miei e poi te lo dico io il numero giusto, mi rassicura.
Passa del tempo e la ritrovo con bimbo e passeggino da camallare in ascensore (il bimbo e il passeggino). Sai che avevi ragione mi fa, sorridendo slavata. Ma dove sono andati tutti, dove, in Israele? fa ancora lei. No, concludo io (siamo arrivati al suo piano). No, non tutti. La più parte sono andati su per il camino. Sai, cara, ce li abbiamo mandati noi europei: le SS tedesche e i cattolicissimi polacchi, letteramente entusiasti di sbarazzarsi di vicini così ingombranti e di guadagnare persino qualche zloty, per ogni Stück – sì, ogni “pezzo” – consegnato ai tedeschi.
Memore della precedente ignoranza sulla quantità, questa volta abbozza e non dice nulla. (Non è una cattiva ragazza, certo, ma non vorrei mai fosse messa alla prova dalla Storia con la “S” maiuscola, Nessuno dovrebbe. Ma se si dimentica il passato, questo s’incazza e poi bisogna riviverlo: funziona come il Gioco dell’Oca, esattamente così).
Adesso lo spudorato Netanyahu fa la più sporca delle propagande e dice che gli ebrei devono tornare in Israele (perchè tornare? Mica sono nati lì) facendo finta di non sapere che i cittadini europei di cultura ebraica sono nostri, una risorsa di noi europei come i caffè, le piazze e i boulevard dove si chiacchera, si cammina si guardano le donne e le vetrine.
Che sono il patrimonio purissimo della nostra civiltà, del mosaico di saperi, culture, abitudini, nevrosi, ubbie, gusti e tendenze che rendono ancora oggi l’Europa il solo posto dove valga la pena vivere stabilmente, essendo il resto del mondo solo un parco giochi o uno degli ennesimi modesti tentativi d’imitazione. L’originale è qui. Come loro, askenaziti e sefarditi, o sa la Madonna cos’altro siano o abbiano voglia di essere.
Senza di loro noi non siamo più noi. Senza di loro siamo poveri e banali. Così come lo saremmo senza tutti gli altri europei: il gran casino di lingue, permalosità e menate che fa di noi ciò che siamo e saremo.
(Chissà se la bionda signora del secondo piano sarà capace di comprenderlo?)