Questa è a suo modo una storia europea. Quella di Giulio, nipote intraprendente che stanco di fare un lavoro di successo a Milano, ha preso l’aereo e se ne andato a Berlino a fare un lavoro di altrettanto successo. (C’erano anche ragioni del cuore – e che ragioni forti – a motivare la sua scelta, ma è un’altra storia). A Berlino chi fa lavori di successo parla l’inglese internazionale, la neo-lingua degli scambi, della ricerca e dei commerci. Si vive benissimo a Berlino anche senza conoscere una parola di tedesco, tuttavia dopo una manciata di anni anche il mio talentuoso nipote ha sentito l’esigenza di impararla questa benedetta lingua… (Buona lettura e buona Europa a tutti).
Da un paio di mesi ho cominciato a studiare (quasi) seriamente il tedesco. Sicuramente questa lingua ha un po’ dei difetti che gli stereotipi sud europei le attribuiscono: è melodiosa come il canto di un martello pneumatico e spesso dolce come un sergente istruttore dei marines, ma ha anche un grande pregio: le parole.
Le parole sono importanti, diceva Nanni Moretti qualche anno fa, be’ le parole tedesche sono fondamentali per capire il popolo tedesco perché racchiudono una forma di umorismo caustico e tagliente che pervade gran parte della vita in Germania.
A sud delle alpi coltiviamo lo stereotipo dei tedeschi privi di senso dell’umorismo, leggendo le rubriche degli italiani all’estero sembra che anche quando andiamo a vivere nelle loro città non riusciamo a liberarci di questa idea.
Probabilmente questo è in gran parte dovuto al fatto che non conosciamo le loro parole e non mi sto riferendo a quelle che servono per comprare un chilo di pane o a chiedere le famose indicazioni per la stazione (frase più usata al mondo secondo tutti gli autori di libri per imparare qualsiasi lingua ma perfettamente inutile ai tempi di Google maps).
Sto parlando di quelle parole un po’ dialettali e un po’ slang, completamente intraducibili che indicano piccoli aspetti della vita di tutti i giorni visti attraverso la lente dell’umorismo. Vi presento il mio personalissimo podio (almeno tra quelle che ho scoperto fino ad ora) se dopo averlo letto sarete ancora del parere che i tedeschi non abbiano senso dell’umorismo almeno lo sarete a ragion veduta.
Klugscheisser: letteralmente colui che caga saggezza. Indica quel tipo di persona che è convinto di sapere tutto e/o sente il dovere di spiegarti fatti banali della vita. Un tipico esempio è l’immancabile signora che ti ricorda che con il semaforo rosso non si può attraversare anche se tu hai trent’anni e non si vede un’auto all’orizzonte. Ahhh Klugscheisser!! Direbbe un tedesco, riassumendo una precisa descrizione antropologica e un pizzico di scherno in una sola perfetta parola.
Hackenporsche: cercate questa parola in un dizionario online e probabilmente non avrete risposta, ma digitatela su Amazon.de e avrete 88 risultati. Letteralmente significa Porsche da tallone ed indica il carrellino di stoffa con due ruote che le signore di una certa età (apparentemente in tutto il mondo) usano per fare la spesa. Che dire, geniale!
Arschgeweih: Anche questa non ha un corrispettivo in credo nessun’altra lingua, almeno non che io conosca poi magari in coreano è usatissima.
Letteralmente significa: le corna del culo. Si riferisce a un tipo di tatuaggio che andava di moda negli anni ‘90 soprattutto tra le ragazze: solitamente di tipo tribale e a forma più o meno di ali o, appunto, di corna e di solito fatto sulla schiena all’altezza della cintura. Come abbiamo fatto noi italiani, che siamo così salaci, a non pensarci prima?
Non so se sono riuscito a far cambiare idea a qualcuno, ma secondo me la morale è più o meno sempre la stessa: i pregiudizi su una popolazione o una cultura dipendono quasi sempre dalla difficoltà di capire le loro sfumature. Per questo i cinesi ci sembrano tutti uguali (e noi a loro) e i tedeschi ci sembrano privi di umorismo. Ma ad andare a guardare i dettagli si rimane (quasi) sempre piacevolmente sorpresi.