Il mio amore per Renzi è tardivo. E come gli amori dell’età adulta, serenamente critico. Proprio perché gli riconosco il coraggio di cui è invece fisiologicamente priva una classe “dirigente” impegnata solo a durare, non gli perdono (non gli perdono più) errori di comunicazione grandi come autobotti. La comunicazione – aziendale, pubblicitaria, istituzionale, politica – è sempre il risultato di una riflessione, di un pensiero. Razionale, coerente, progettuale; oppure, come avviene purtroppo nella stragrande maggioranza dei casi, dettato dalla pancia. O peggio da consigliori modesti sino all’inadeguatezza.
La comunicazione politica è, molto spesso, strumentale. E’ inevitabile. Non mi scandalizzo, è ovvio sia così. Il messaggio che Renzi ha sentito la necessità (il dovere?) di esprimere sul bambino inglese malato senza speranza, mi ha sbigottito. Credo e spero sia stato mal consigliato, cosa ancora più grave: il genio di un condottiero si misura anche da chi si circonda. Perché, anziché parlare di biotetica da statista, affermando ad esempio che non era il caso di osteggiare la volontà dei genitori, usa il linguaggio dell’intimità (“cucciolo d’uomo”) in modo strumentale che sa di farlocco, di finto, di asimmetrico? Un “mulino bianco” che sa di plastica. Di abuso manipolatorio della comunicazione.
La politica, quella che si propone di essere strumento di cambiamento e non di potere per il potere, deve parlare il linguaggio dell’autenticità. Tutto ciò che suona finto o pretestuoso corrode il bene più prezioso: la credibilità. Che per un uomo politico normale è insignificante. Ma per chi vuole davvero il cambiamento è quasi tutto.