Ci-ci, ci-ci, ci-ci

By on Mar 8, 2015 in Comunicazione, Contemporaneità

Ci-ci, ci-ci, ci-ci. Seduto sulla ciclettina spingo sui pedali nella speranza che il miracolo si avveri: fiato, linea, (eterna) giovinezza. Per ingannare il tempo aerobico compulso “Repubblica” dell’edizione ricca di domenica. Inizio come di consueto dalle pagine leggere, quelle di satira involontaria. Eugenio Scalfari oggi è in gran forma. Tralascio il solito panegirico a Draghi (Dra-ghi, Dra-ghi!) e mi delizio con il sospetto che sì, anche il governo Renzi ci stia per avviare ad un inizio di democratura (è la nuova parola alla moda). Come la Russia di Putin. Come l’Ungheria di Oban. Come la Turchia di Erdogan. Di grazia Eugenio, perchè questo rischio? Ovvio, la legge elettorale e la riforma del Senato, che diamine, il richiamo di Renzi alla disciplina di partito. (Come non averlo compreso subito? Mosca, Budapest, Istambul… Roma! Brrrr… orrore e raccapriccio!)

Ci-ci, ci-ci, ci-ci fa la ciclette. (Grazie Eugenio. A domenica prossima, mi raccomando non mancare). Poi si va su qualcosa di serio, di maledettamente serio: si parla di letteratura, libri, scrittori, editori, poeti. E quindi di scazzi, nevrosi, gelosie, furori. Merda e sangue per intenderci. Pietro Gelli, come sempre magistralmente intervistato da Antonio Gnoli, racconta del divorzio tra Pasolini, geloso della presenza in catalogo di un autore da lui schifato, Alberto Bevilacqua, e Livio Garzanti. Colloquio teso, chiusura totale. Gelli racconta che il suo pensiero andò ai contratti, alle carte, ai probabili deliri di avvocati, cause e tribunali. Ma neanche due mesi dopo Pasolini si fece trucidare (l’interpretazione è mia: quella morte se la cercò ostinatamente). La Garzanti ristampando tutta l’opera fece profitti enormi e soprattutto inattesi.

Ci-ci, ci-ci, ci-ci. Pedalo, giro i fogli e m’imbatto a pagina 15 nell’intervista a Damiana Diapasquale, la precaria miracolata dal Jobs Act. Titolo: “Io precaria domani firmo il nuovo contratto felice sì ma tra 3 anni possono licenziarmi“. Leggo, pedalo e non credo ai miei occhi. Sarà un errore del proto, Rep l’amata Rep ultimamente batte persino me coi refusi. Invece no. Invece di accendere un cero a S.Antonio e recitare una novena inginocchiata sui ceci, la sciagurata dichiara: “Felice? Ovvio. Anche se mi resta un po’ di amaro in bocca… Per tre anni, quelli dello sgravio fiscale, mi assicuro una crescita professionale in un contesto che mi piace. Però mi domando: e fra tre anni? Cosa succederà? quando cioè all’azienda “costerò” davvero? Insomma, metto in preventivo che possa perdere il mio lavoro”.

Damiana Dipasquale ha 28 anni, una laurea farlocca in Scienze della Comunicazione* e lavora in una azienda milanese di consulenza e selezione del personale. Si badi, non fa il tombolo a Burano, il pane artigianale ad Altamura e neppure alleva bachi da seta nel vicentino. Vive e lavora in una città del terziario così detto avanzato, nel settore dei servizi alle imprese (si suppone pur essi avanzati) e nonostante ciò continua a non aver capito che il mondo è cambiato.

Per tre anni, dice, mi assicuro una crescita professionale in un contesto che mi piace. Pagata. Con le ferie, la malattia e persino la maternità, capitasse. Gesù, ma cos’altro vorrebbe? Non sa che se l’azienda – tra un anno, tre, cinque – andasse male starebbe a casa ugualmente? Non sa che molti suoi coetanei, pagano di persona per avere la formazione professionale che invece a lei è (giustamente) assicurata? Cose vorrebbe, un impiego assicurato a vita magari nella Pubblica Amministrazione? Sono questi i sogni, la spinta, le ambizioni dei ggiovani del terzo millennio? Sono queste le paure e di converso i loro desideri? Calduccio, tranquilluccio, sicuruccio, oggi nel 2015 in questo modo stretto e globalizzato peggio di un bordello interazziale?

Vorrei poter dire alla giovane Damiana che cosa accadrà tra tre anni non lo sa nessuno, meno di tutti gli esperti dei think tank che pure di queste cose campano. A me piace pensare che sarà un futuro bellissimo, eccitante e pieno di sorprese. Contrariamente ai nostri giovani, così ggiovani e già così pensionati, la penso come Corto Maltese. Non vorrei mai che una maga mi leggesse il futuro: poi non mi divertirei a viverlo.

Un futuro lungo, oppure corto come quello che restava da vivere a Pasolini il giorno dello scazzo con Garzanti. Bello oppure brutto. Quel che sia. Ma in ogni caso ho la presunzione di pensare che ciò che sarà un poco dipenderà anche da me.

 *Scienze della comunicazione? La comunicazione non è una scienza, semmai un’arte. Se fosse una scienza potremmo svelarne i miracoli e ripetere a piacimento in laboratorio i capolavori preferiti: Scienze della comunicazione è la facoltà delle illusioni inventata dai diplomifici per rubacchiare risorse alle famiglie e tempo ai ragazzi. Chi è davvero interessato alla comunicazione studia Lettere, Filologia, Storia della Letteratura, Filosofia, Logica, Storia dell’Arte, Psicologia della percezione, Informatica. E si fa un mazzo tanto.