Chiedo scusa

By on Mag 23, 2015 in Comunicazione, Contemporaneità

“Chiedo scusa!” urla la signora che ha rischiato di farmi cadere. “Mi scusi ancora!” ripete la recidiva al secondo tentativo, pur continuando ad occupare gesticolando con l’amica la (stretta) pista ciclabile che circonda l’aeroporto di Linate.

“Chiedo scusa, restituirò tutto” dichiara il super manager che pagava le multe del figlio con i soldi della società (pubblica).

“Chiedo scusa”, proclama il manganellatore No-Expo che in buona compagnia menava il poliziotto finito a terra.

Chiedo scusa è il nuovo mantra del nostro mondo pur così poco sorridente e leggero. Nel nuovo contesto d’uso ha subito un’involuzione trasformandosi da cortese ammissione di responsabilità, a salvacondotto generico: “t’ho chiesto scusa, e mo’ che altro vuoi?!?!” (provatevi voi nel plumbeo cupore calvinista e riformato a violare un limite in Svizzera o in Germania, e vedrete che effetto sortirà il vostro italico “chiedo scusa!”.)

Anche in America l’ammettere la colpa, il chiedere perdono è un classico. Come la preghierina prima del cibo o la Bibbia nel comodino della stanza d’albergo. Ma dopo la richiesta di perdono, da quelle parti di norma scatta la sanzione. (non se sei poliziotto e hai sparato al negro. Ma questa è un’altra storia).

Noi che siamo il paese cattolico d’eccellenza (anche l’Irlanda ormai ci surclassa in tema di laicità e tolleranza) abbiamo introiettato nel dna la buona vecchia regola aurea: pecca fratello e poi chiedi perdono. Con due gloria, un pater e, per sovramercato, un’ave maria, sei come nuovo di zecca. Pronto a rifarlo di nuovo.