Alzi la mano chi legge le prefazioni. Noiose come il curling, il più delle volte scandalosamente inutili alla comprensione del testo. Destano il sospetto di una marchetta dell’editore che con poco, due bacetti una carezzina, coccola la sua scuderia di autori, referenti, sodali e cliens. Una prefazione non si nega a (quasi) nessuno. (Basti pensare allo sciocchezzaio che uno stuolo di copy-writer di minor o maggior talento è costretto a vergare in nome e per conto di Sindaci, Assessori, Direttori, Sovraintendenti, Promotori e Sponsor che avvilisce il catalogo di ogni mostra d’arte che si rispetti). A volte le prefazioni sono opera dell’autore; e qualche volta sono più d’una poiché premettono la prima edizione dalle successive. E’ allora che, occhio alla penna, vale davvero la pena di leggerle. La prefazione della prima edizione italiana di “Intellettuale ad Auschwitz” (Bollati...