Per colpa di chi?

By on Apr 22, 2016 in Comunicazione, Contemporaneità

“Che frase, che giro di note sono state le tue ultime, Lisa? Che musica ascoltavi, in cuffia, ieri mattina?” Si chiede Concita De Gregorio oggi sulla prima pagina di Repubblica. “Dieci minuti prima delle otto, è tardi è tardi, devo correre” continua poi il pezzo dedicato alla sciagurata ragazza travolta dal treno. Mi chiedo se quello della De Gregorio, nota alle cronache per aver dato il colpo di grazia al già periclitante giornale fondato da Antonio Gramsci nel corso della sua infausta direzione, quando riuscì (con successo) a trasformare L’Unità in un supplemento di Hello Dolly, sia giornalismo o melassa per cameriere guatemalteche, la nuova categoria antropologica che ha recentemente sostituito la casalinga di Voghera; se il glorioso quotidiano fondato da Eugenio Scalfari non stia a sua volta subendo una trasformazione genetica, una macumba da notte dei morti vivendi. Non che...

Vox populi

By on Apr 20, 2016 in Comunicazione, Contemporaneità

Il 26 aprile del 1986, sabato, era una bella giornata di primavera. Non ricordo se andammo al parco Forlanini quel giorno oppure quello dopo, o se entrambi. La ex-corta che mi somiglia non aveva ancora un anno, e il pascolo sui prati era una sorta di must allora come oggi. Alle ore 1,23 di quel giorno “una nuvola di materiale radioattivo fuoriuscì dal reattore di Cernobyl e ricadde su vaste aree intorno alla centrale, contaminandole pesantemente… In breve tempo le nubi radioattive raggiunsero anche l’Europa orientale, la Finlandia e la Scandinavia con livelli di contaminazione via via minori, toccando anche l’Italia, la Francia, la Germania, la Svizzera, l’Austria e i Balcani…”. Le raccomandazioni sanitarie sconsigliavano di dare latte ai bambini, mangiare formaggi freschi e ortaggi a foglia larga. (Il particolare della “foglia larga” mi fa venire in mente la conclusione delle...

Di cosa parliamo quando parliamo d’amore

By on Apr 16, 2016 in Comunicazione, Contemporaneità

Fateci caso, quando si è imparato a voler bene si vuole bene per i difetti mica per i pregi. Funziona per le persone, i luoghi, le città e persino i paesi. Si vuole bene al Giappone, alla Tedeschia o alla Francia mica perché sono paesi fighi. Anche se all’inizio siamo attirati dalla grandezza, o dalla sciagura, dal fascino, o dall’epica. O dalla forma dei salsicciotti. Poi, man mano che la seduzione invade gli organi vitali e poi s’incista di fino nelle cellule, sono i limiti, i difetti, finanche i crampi mentali, che ci rendono per sempre prigionieri i un rapporto d’amorosi sensi. Così, nonostante l’orrore insuperato e ben nascosto per ragioni politiche (tutto perdonato ai nazi-Jap nel lontano ’45: serviva un puntello antisovietico laggiù a Est) come non si fa a non amare il Giappone coi suoi trenini riempiti dagli omini pigiatori in guanti bianchi, le sue corporazioni, il vergognoso...

L’insostenibile inconsistenza del 17 aprile

By on Apr 15, 2016 in Comunicazione, Contemporaneità

Chiedo scusa, non ce la faccio. E’ più forte di me, devo parlarne. Appartengo alla generazione che ha considerato il voto una festa più che un dovere, anche se il più delle volte dalle urne uscivano topi morti invece che rondini di primavera. Da quando ho avuto l’età, non ho perso un colpo: comunali, provinciali, regionali, politiche, europee. Camera e Senato. Anche per il tinello, decaduta istituzione piccolo borghese, avrei votato se l’avessero messo in lizza. Per non parlare dei referendum e della grande giovanile letizia provata per quello sul divorzio e per la difesa della legge 194 (NON per l’aborto: nessuno sano di mente è “a favore” dell’aborto. Ma chi questa storia non la vuole capire non la capirà mai). Stavolta ho deciso di non andare a votare. Il 17 aprile non andrò a depositare il mio fazzolettino di carta nella scuola Leonardo da Vinci. Per un semplice, banalissimo...