Credo sia stata Giulia, la ex-corta che mi somiglia, a rammentare che nel Decameron del morbo si parla sì e no nelle prime tre pagine. La peste è un presupposto, un pretesto che lascia immediatamente spazio alla narrazione che tutti conosciamo. È ciò che dovremmo provare a fare anche noi, sommersi da un virus che molto prima dei polmoni soffoca le menti. Spostare la narrazione dalla malattia alla vita, dalla tecnologia – ventilatori, respiratori, statistiche e curve epidemiologiche – alle scoperte quotidiane che i (fortunati) reclusi con il frigorifero pieno e la cantina fornita compiono quotidianamente. Mutare la prospettiva insomma, senza necessariamente dover ricorrere al moralistico “c’è chi sta peggio”, pensiero che ci perseguita dall’età dell’asilo (“non l’hai finita? pensa ai bimbi del Briafa che muoiono di fame!). C’è sempre chi sta peggio, l’approccio mentale delle...