La “Storia della filosofia della scienza” di David Oldroyd (Net, nuove edizioni tascabili) non sembrerebbe il tipico libro da portare in spiaggia. Sono 487 pagine fitte ricche di note e apparati critici di prim’ordine, come ormai raramente si vedono nel triste panorama editoriale contemporaneo; le note impaginate al termine dei singoli capitoli sono concepite in chiave di approfondimento e di connessione tematica, un ulteriore impegnativo stimolo per il lettore.
Poiché per mia fortuna è ormai trascorsa l’età delle verifiche accademiche (gli altri esami, quelli della vita e del lavoro, invece non finiscono mai) mi concedo il lusso della “lettura fluttuante”. Consiste nell’affrontare con serietà e metodo un capitolo alla volta; terminato il quale si può riporre il libro per giorni o settimane in attesa delle condizioni ideali per un nuovo round. Non sto preparando un esame, ma di molto peggio: cerco di prepararmi all’esame, quello che si fa facendo ogni giorno più arduo e doloroso. Riguarda noi tutti di fronte alla realtà, ai fatti, al mondo che cambia e cambiando sembra non mutare affatto, tanto il passato sembra inutile alla lettura del presente.
A cosa serve leggere una storia del pensiero scientifico? A me aiuta a pensare. E a cercare di comprendere. Non ho detto “a comprendere”, ma a cercare. Corre tra i due termini la stessa differenza che c’è tra fare un viaggio per arrivare a destinazione e fare un viaggio di scoperta. Così ho nuovamente scoperto la fatica che la “meglio gioventù” del genere umano ha compiuto nei millenni per liberarsi dai lacci del mito e (tentare) di inventare la ragione.
Il ruolo incredibilmente potente delle idee e della conformazione che le idee fanno assumere alla realtà. (Nel mondo antico la schiavitù era condizione di natura anche per i migliori intelletti esattamente come per noi, sino a poco tempo fa, era ovvio che le donne non votassero e normale avvelenarsi di fumo al cinema)
Il buffo delle interpretazioni che noi (contemporanei) attribuiamo agli antichi, dando per scontato che in qualche misura la loro riflessione coincidesse con la nostra di oggi.
Il ruolo spaventosamente oscurantista svolto dalla religione (dalle religioni).
Le responsabilità della metafisica e dell’idealismo (intesi come sistemi di pensiero) nell’aver condizionato nei secoli la conoscenza basata sull’esperimento e la verifica della teoria nella prassi.
La storia dei progressi (e dei regressi: le conquiste non sono mai lineari né per sempre purtroppo) del pensiero umano applicato alla scienza e al metodo di far scienza è dunque una consolazione? Diciamo che no nell’immediato e nel brevissimo periodo: i tagliagole affilano i coltelli e i politici imbelli distruggono quello che i padri avevano faticosamente costruito. Nel medio e nel lungo invece, come amava dire Keynes, saremo certamente tutti morti ma – forse – un pochino più civili di quanto non siamo ora. Nell’antichità solo le donne Etrusche sedevano alla pari degli uomini nei banchetti. Che è come dire, che sì siamo bestie. Ma alla lunga ci domestichiamo.